Una volta, il bello di andare al cinema era anche non sapere come sarebbe andato a finire il film; e, forse, il bello di guardare una serie televisiva, era l’attesa del giorno della settimana in cui sarebbe andata in onda. È chiaro che tutto questo ormai è un lontano ricordo. Con l’avvento delle piattaforme on-demand, le nostre abitudini di fruizione dei contenuti sono completamente cambiate, complice anche la “cannibalizzazione” che la serialità ha prodotto sul cinema, un cinema però, che sembra proprio non riuscire a rialzarsi.
Reboot e serialità: un chiarimento dalle basi
Ultimamente sentiamo spesso parlare di remake, reboot, live-action oppure spin-off. Prima di entrare nel vivo del discorso, chiariamo il significato di ciascun termine così da evitare confusione. Come si evince dal nome stesso, un remake è il rifacimento di una singola opera a distanza di un lasso di tempo importante dalla sua prima creazione. Può trattarsi di un film, ma anche di una serie TV, un libro o un videogioco. I motivi per cui ha preso piede questa tecnica nel cinema prima, e nella serialità poi, sono dovuti al miglioramento delle tecnologie, degli effetti speciali e del girato in generale. Con reboot, invece, ci riferiamo a un “rilancio” dell’universo narrativo di riferimento di una determinata opera. Uno degli esempi più eclatanti è quello della saga di Spiderman, che vede da una parte l’universo narrativo del regista di Sam Raimi e, dall’altra, The Amazing Spiderman della Sony.
Un live-action, letteralmente ‘azione dal vivo’, è la trasposizione di un prodotto di animazione in un’opera con attori in carne e ossa. In questo senso, la casa di produzione Disney, ma non solo, anche la HBO o Sky Atlantic, producono film e serie TV su prodotti animati o videogiochi passati o recenti, cercando di attualizzarli quanto possibile.
Infine, lo spin-off, è la storia di un personaggio secondario, nato da un’opera primaria e, generalmente, si svolge all’interno dello stesso universo narrativo in cui ha preso vita la prima volta: dal mondo seriale di Breaking Bad è nata la serie sull’avvocato Saul Goodman (Better Call Saul).
Queste tecniche hanno subito un’impennata non indifferente negli ultimi anni, producendo in serie prodotti dell’industria culturale che hanno già avuto una storia, un successo, un percorso di vita. Ma qual è il problema (se c’è un problema)?

Reboot e serialità: strategia oppure prudenza?
Il problema è legato proprio alla quantità e alle tempistiche di uscita di reboot e serializzazione di opere già esistenti. Non si tratta più di un caso isolato, ma l’industria culturale sembra aver stabilito una strategia “zero rischio”, per cui le nuove idee, incerte, diventano non preferibili a idee che all’epoca hanno già avuto successo e che, per questo, lo avranno di nuovo. Si tratta dunque, di ri-offrire con serialità il successo precedente, producendo così giri di profitto su uno stesso prodotto; basandosi sulla fidelizzazione di chi ha già vissuto lo stesso ed è disposto a pagare nuovamente per riviverlo.
A questo punto, si potrebbe quasi parlare di standardizzazione dei prodotti culturali, che di fatto va ad intaccare l’aspettativa dell’audience (aspetto di cui purtroppo, l’utenza stessa, non si rende conto).
Reboot e serialità: che valore diamo alle idee e alla creatività?
Un tempo si sperimentava di più? Sicuramente. Le idee erano il motore dell’industria culturale, così come la creatività: avere sceneggiatori brillanti, sempre nuovi, era un tassello fondamentale su cui veniva costruita l’intera macchina. Certo, i remake sono sempre esistiti; i reboot anche, dagli anni ’80 abbiamo assistito all’allestimento di universi narrativi già noti, ma il valore della novità e del tocco magico che fa la differenza erano sempre presenti. Oggi quel tocco sembra essere secondo al “guadagno facile” (per non dire quasi scomparso del tutto), che porta al cinema, o meglio ancora sul divano, orde di vecchie utenze con prole al carico, senza fare altro che riproporre ancora, ancora e ancora. Alla luce di questo, che valore diamo alle nuove idee? Un interrogativo che muoviamo non solo all’industria, ma anche a noi stessi in quanto audience.
Spesso e volentieri siamo pronti a discutere su scelte sbagliate dei casting, ci infervoriamo perché quel film o quella serie televisiva che hanno rilanciato non sono uguali al film o alla serie TV già esistente. Questo, invece di pretendere che si torni allo scopo iniziale, quello di incantare con storie mai viste prima. Si tratta, dunque, anche di disincanto? In buona parte sì. Tutto si assomiglia, tutto torna. Forse, l’unica nota positiva è la speranza che le nuove generazioni non si pongano mai il problema di dover discutere sulla scelta di attori neri per personaggi che sono stati sempre bianchi. Sperando che prima o poi, non si debba più parlare di inclusività, più di deja-vù, ma soltanto di cinema.
Autore articolo

Sara Giovannoni
Redattrice
Copywriter pubblicitario, cinefila, nerd.
Cerco di vivere la vita sempre con la curiosità e lo stupore di un bambino.
Amo scrivere delle cose che mi appassionano,
ecco perché spero di pubblicare, prima o poi, il mio libro sul Giappone.
Intanto keizoku wa chikara nari.
Se volete, andate a cercare il significato!