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La grande barriera corallina: patrimonio dell’UNESCO. O forse no.

La scienza non basta più?

Barriera corallina

Avete mai visto un documentario? Uno di quelli sulle bellezze della natura? Sicuramente sì, ma vi siete soffermati a guardarlo per davvero? Sono bellissimi, mozzafiato. Ognuna di quelle riprese è frutto di ore e giorni, solo per offrirci la possibilità di vedere nitidamente lo schiudersi di un fiore dall’altra parte del mondo, oppure il movimento dei ghiacciai, o ancora l’innamoramento di due pinguini dell’Antartide. È la natura, è il mondo.

Ma lo scopo di questi documentari non è solo quello di renderci partecipi di cose reali che altrimenti non vedremmo mai, ma anche quello di sensibilizzarci a prenderci cura del nostro pianeta, della flora e della fauna, perché è sempre la nostra casa. E dove non arriviamo noi, arriva l’UNESCO, ovvero l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura.

La grande barriera corallina: un sito da proteggere?

Al mondo esistono moltissimi siti che, nel tempo, sono entrati a far parte del Patrimonio UNESCO. Ma cosa significa esattamente?

Ogni 6 anni vengono eletti i rappresentanti dei 21 Stati membri che vanno a formare il Comitato Patrimonio Mondiale, con il compito di selezionare nuovi siti da inserire all’interno della lista patrimonio mondiale (appunto). Essere inseriti in questa lista significa godere di alcuni finanziamenti speciali, provenienti direttamente dal fondo destinato alla protezione e alla tutela dei siti patrimonio dell’UNESCO. ll Comitato del Patrimonio Mondiale non ha inserito la Great Barrier Reef nell’elenco dei siti patrimonio dell’umanità “in pericolo”.
Questa decisione non è andata giù al governo australiano, che non ha tardato a muovere aspre critiche nei confronti del comitato e della sua decisione. Per combattere questa battaglia, gli australiani hanno radunato una schiera di esperti scienziati e ricercatori, pubblicando un rapporto dettagliato sul deterioramento della barriera corallina a causa dei cambiamenti climatici e, conseguentemente, sullo sbiancamento dei coralli.

La grande barriera corallina: ecosistema e vita

La Grande Barriera Corallina si estende per quasi 345.000 chilometri quadrati al largo della costa nord-orientale dell’Australia e ospita oltre 1.600 specie di pesci e 600 specie di coralli. Si tratta di un ecosistema marino vitale, che contribuisce anche con 6,4 miliardi di dollari l’anno all’economia del Paese. In soli sei anni, questo luogo dalla bellezza indescrivibile e il suo ecosistema unico, ha subito diverse ondate di sbiancamento dei coralli, mettendo a rischio la vita di molte specie.

Secondo uno studio pubblicato su Current Biology a novembre 2021, il 98% delle 3000 barriere coralline appartenenti alla GBC (Grande Barriera Corallina) è stato oggetti di questa spiacevole trasformazione. Il fenomeno dello sbiancamento dei coralli, che perdono i loro caratteristici colori brillanti, si è verificato inizialmente solo nella fase fredda del ciclo che riguarda la temperatura dell’Oceano Pacifico equatoriale superficiale. Ma ad oggi la situazione si sta aggravando e i drastici cambiamenti climatici provocano un effetto a catena, con risultati imprevedibili.

Il 30% della fauna oceanica trascorre gran parte della propria vita su un reef e, proprio per questo motivo, è importante che continuino a esistere e a restare in salute. Per contrastare questo fenomeno e rendere le barriere coralline più resistenti, i ricercatori hanno elaborato delle “stelle” in metallo, realizzate dall’azienda Mars (proprio così, il dolciume cioccolato e caramello), che favoriscono una rapida crescita del corallo, aumentandone di 12 volte la copertura in soli pochi mesi. Nell’ultimo decennio, squadre di sommozzatori hanno installato 20.000 stelle lungo tutto il mondo, ricorrendo a quasi 300.000 frammenti di corallo. Infatti, su queste stelle vengono legati alcuni frammenti di corallo che cresceranno e si trasformeranno in habitat per le specie ittiche.

La grande barriera corallina: la sfida continua

Molti sostengono che il Governo australiano Morrison del 2020, abbia fatto sì che la grande barriera corallina non venisse inserita nella lista UNESCO dei siti in pericolo e, in aggiunta, chiese delle modifiche per alleggerire il tono sulle condizioni del reef riportate nel rapporto dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico).
Una scelta che ha subito suscitato le proteste ambientaliste, convinte che il Governo stesse minimizzando i danni subito dalle barriere coralline. Imogen Zethoven, direttrice del Blue Ocean Consulting e consulente per l’Australian Marine Conservation Society, ha detto al Guardian che:

 «…tramite l’IPCC, gli scienziati hanno detto che la Grande Barriera Corallina è in crisi, e ne hanno parlato approfonditamente nel report, ma il governo ha negato la crisi dei coralli della GBC e del resto del Mondo. Dire che i coralli non sono in pericolo è essere disonesti».

Ad oggi, L’UNESCO non ha inserito la GBC nella listi dei siti che possono accedere al fondo di tutela. Il braccio di ferro continua e gli accordi recenti vedono l’UNESCO disposto a sostenere comunque delle manovre di protezione del reef, seguendo le direttive del Governo australiano, avvalorate dai rapporti dei ricercatori che da anni si prendono cura di questo prezioso ecosistema.

Fonti:
nature.com
ilpost.it
iconaclima.it
greenreport.it
wwf.it


Autore articolo

Sara Giovannoni

Sara Giovannoni

Redattrice

Copywriter pubblicitario, cinefila, nerd.
 Cerco di vivere la vita sempre con la curiosità e lo stupore di un bambino.
Amo scrivere delle cose che mi appassionano,
ecco perché spero di pubblicare, prima o poi, il mio libro sul Giappone.
 
Intanto keizoku wa chikara nari. 
Se volete, andate a cercare il significato!

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