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Morire di caldo, letteralmente: è più probabile che tu sia nero e non bianco

La nuova faccia del “razzismo ambientale”: vivere in quartieri che diventano sempre più caldi

Caldo, razza, povertà

“Razzismo ambientale” – dall’inglese environmental racism –  è un’espressione che risale ai primi anni ‘80, quando fu coniata da uno dei leader degli attivisti per i diritti civili degli afroamericani, Benjamin Chavis.

Nata per intendere una forma di razzismo sistemico per cui le comunità a basso reddito, in generale, e quelle etnicamente minoritarie, in particolare, sono ridotte a vivere in prossimità di fonti di inquinamento, proprio recentemente questa espressione sta tornando in auge.

Complice il riscaldamento globale, che, con sempre più frequenti e intense ondate di caldo, sta mietendo il numero maggiore di vittime proprio tra quelle comunità relegate in quartieri dove a regnare sovrano è il cemento, mentre il verde è quasi del tutto assente.

Il più disastroso dei disastri ambientali: il caldo

Tra tutti i fenomeni classificati come “disastri ambientali”, sorprendentemente (oppure no?) è proprio il caldo ad essere il più catastrofico: secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra il 1998 e il 2017 più di 166 mila persone sono morte a causa del caldo (nel 2003, solo in Francia ne sono morte 14 mila).

Numeri che sarebbero addirittura sottostimati, poiché, ad esempio, si è soliti registrare la causa di morte come “arresto cardiaco”, ma senza specificare se sia stato o meno dovuto alle temperature eccessivamente alte.

Il più mortale, dunque, dei disastri ambientali, più pericoloso del freddo, peggiore anche degli uragani. Ma, come anticipato menzionando il riscaldamento globale, l’origine di tutte queste ondate di caldo calamitose sta diventando sempre più antropica. Tanto è vero che uno studio pubblicato su Nature lo scorso 31 maggio ha rivelato che, su un totale di 43 Paesi, circa il 37% delle morti da caldo sono da ricondurre proprio ai cambiamenti climatici imputabili all’uomo[1].

Chi può morire di caldo e chi no

Bambini, anziani e malati cronici: naturalmente, sono loro i più vulnerabili. Ma la questione ha anche un volto politico-ideologico, socio-economico. C’è chi può beneficiare di spazi verdi, dell’ombra degli alberi, dei parchi. E chi viene abbandonato a “cuocere” su vaste distese di asfalto, avvolto tra il cemento armato. Anche le politiche urbane possono essere razziste, lo sono da parecchio tempo, ormai.

Caldo, razza, povertà

Secondo un altro recente studio, quello condotto da Angel Hsu, ricercatrice presso la University of North Carolina, su un totale di 175 città americane, le comunità povere ed etnicamente minoritarie sono condannate a patire il caldo per ben il 97% dei casi[2]!

Prendere ad esempio gli Stati Uniti, dove il razzismo, in tutte le sue sfaccettature, purtroppo è storia, viene del tutto spontaneo. In America i casi di “razzismo ambientale” sono più facilmente documentabili e, infatti, sempre più ricercatori – pianificatori territoriali, meteorologi ed esperti climatici – si stanno interessando ad indagare la correlazione tra politiche discriminatorie e pericolo di morte legato al caldo, collaborando per individuare i quartieri cittadini più esposti a questo rischio. Ma attenzione, perché l’ingiustizia ambientale dilaga ovunque e sì, anche in Italia.

La lunga strada verso la heat equity

Non basterà piantare qualche albero e dipingere i tetti di bianco per realizzare la cosiddetta heat equity, un’uguaglianza socio-ambientale. Anche se a Los Angeles, stando a quanto stimato, con queste due semplici mosse si potrebbero già ridurre i numeri delle vittime di almeno ¼ [3]. La scelta degli alberi, però, non dovrà essere casuale, ma si dovrà tenere conto della quantità di ombra che potranno offrire e della resistenza che potranno garantire.

Un’altra soluzione da non sottovalutare per iniziare a fare una differenza potrebbe essere quella di aumentare il numero degli attraversamenti pedonali, così da permettere alle persone di spostarsi sul lato ombreggiato della strada. Provati e approvati anche i sistemi di allarme pubblico.

Caldo, razza, povertà

Tuttavia, non dimentichiamoci di un dettaglio fondamentale: si parla pur sempre di eliminare il razzismo. Le sue radici sono molto profonde e la sua ombra è tutt’altro che salvifica per la società. Almeno, però, negli ultimi tempi – quelli del Black Lives Matter – stiamo iniziando ad assistere ad una più ampia presa di coscienza e di parola. Certo, la strada è comunque lunga e tortuosa, ma almeno qualcuno sta iniziando a percorrerla.


[1] Cfr. Alexandra Witze, “Racism is magnifying the deadly impact of rising city heat”, Nature, 14 luglio 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.nature.com/articles/d41586-021-01881-4?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=f226b1a33d-briefing-dy-20210715&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-f226b1a33d-46136706.

[2] Cfr. Ibidem.

[3] Cfr. Ibidem.

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Autore articolo

Federica Fiorletta - autore

Federica Fiorletta

Redattrice

Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.

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