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Comunità LGBTQI+: discriminazione frutto della mancanza di dati scientifici

La National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine americana chiede di recuperare il gap

Comunità LGBTQI+

C’è bisogno di maggiore inclusività, anche nella ricerca scientifica. È questo l’appello lanciato recentemente dalle National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine in riferimento alle comunità LGBTQI+. Le discriminazioni che le persone con una diversa identità di genere e orientamento sessuale sono costrette a subire non sono più tollerabili. La comunità scientifica americana, attraverso un report[1] pubblicato nel 2020, chiede che si colmino le lacune e che si realizzino metodologie standardizzate per la raccolta di dati, sanitari e non.

Comunità LGBTQI+: una raccolta dati più inclusiva

Il risultato di questo rapporto è stato pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine[2]. La maggior parte delle indagini statistiche statunitensi, compreso il decennale censimento, non raccolgono informazioni demografiche circa l’orientamento sessuale, l’identità di genere o lo stato intersessuale dei cittadini americani.

Una mancanza che crea importanti disagi all’intera comunità LGBTQI+ tanto più ora che gay, lesbiche, transgender, queer e intersessuali stanno osservando un miglioramento del proprio status sociale rispetto ai decenni scorsi. Un avanzamento che non si nota in ambito sanitario.

Comunità LGBTQI+ - Indagine statistica
Foto di Andreas Breitling da Pixaba

Il rapporto delle National Academies mostra chiaramente quanto le discriminazioni e l’emarginazione sociale abbiano conseguenze gravi sulla salute degli appartenenti a questi gruppi sociali: si parla di epidemie di depressione, uso di sostanze, infezione da HIV, violenza, vita per strada.

Decidere o meno di raccogliere questi dati, dichiarano gli autori della pubblicazione, è una pura scelta politica ed è frutto del programma del Governo in carica.

Comunità LGBTQI+: il diritto di contare, anche statisticamente

L’orientamento sessuale, l’identità di genere, sono aspetti che determinano il modo in cui un soggetto si relaziona con la società che al suo interno include famiglia, lavoro, assistenza sanitaria. Decidere di non farsene carico vuol dire assumere una posizione politica chiaramente discriminatoria. Decidere di non occuparsene vuol dire limitare le capacità del sistema sanitario di intervenire per correggere le disparità attraverso strategie mirate.

Secondo le National Academies ci sono alcuni mezzi di raccolta dati che dovrebbero includere al loro interno domande sull’orientamento sessuale. Si parla di:

  • National Health Interview Survey (sondaggio annuale che fornisce stime rappresentative a livello nazionale in ambito sanitario)
  • American Community Survey (indagine demografica condotta dall’Ufficio censimento degli Stati Uniti)
  • Sperimentazioni cliniche
  • Attività di ricerca in genere
  • Sorveglianza sanitaria pubblica
  • Cartelle cliniche elettroniche (EHR).

Per superare questa impasse è importante che il Governo federale americano intervenga per stilare standard ufficiali da far adottare sia alle agenzie sanitarie pubbliche che private. Alcuni buoni esempi ci sono già ed i dati sono sorprendenti.

La paura del pregiudizio

Il pregiudizio che ha colpito così duramente e per tanti anni queste comunità ha portato a risvolti inaspettati. Da un’indagine condotta negli Usa, infatti, l’80% dei medici credeva che i pazienti si sarebbero rifiutati di fornire indicazioni rispetto alla propria identità di genere. In realtà solo il 10% si è detto contrario. In un altro studio etnicamente e socialmente diversificato gli intervistati hanno dichiarato che avrebbero risposto a questa domanda perché ritenuta una informazione necessaria.

I tempi, dichiarano gli autori del report, sono maturi per un cambio di passo. Barack Obama durante il suo mandato da Presidente degli Stati Uniti d’America ha fatto in modo che diverse agenzie federali si preoccupassero di definire domande anche sul genere da inserire nelle survey (sondaggi). Con il passaggio alla presidenza di Donald Trump il percorso è stato troncato.

La speranza è che con il nuovo Presidente Joe Biden e la sentenza della Corte Suprema nella causa Bostock v. Clayton County contro la discriminazione sessuale si possano indicare nuove priorità. Un cambio di vedute che dovrebbe riguardare non solo l’ambito sanitario ma anche quello occupazionale, dell’istruzione, della giustizia penale e abitativa.

La raccolta dati in ambito LGBTQI+ in Europa

Anche da questo lato dell’Oceano Atlantico ci si interroga da diverso tempo rispetto alla capacità dell’Unione Europea e dei vari stati membri di essere inclusivi nella raccolta dati. Il panorama delle discriminazioni è simile e la stessa pandemia causata dal Coronavirus ha confermato il ritardo delle istituzioni europee sulla questione di genere delle comunità LGBTQI+.

In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia (IDAHOBIT), il 17 maggio 2020, un gruppo di esperti internazionali dei diritti umani delle Nazioni Unite ha rivolto un appello[4] agli Stati ma anche ai portatori di interesse a considerare l’incidenza che la Covid19 ha avuto su queste comunità.

Comunità LGBTQI+ - epidemia coronavirus
Foto di Obi Onyeador su Unsplash

La pandemia ha reso loro più difficoltoso l’accesso alle cure, specialmente per chi convive con l’HIV ed ha necessità di accedere ai farmaci antiretrovirali. Il coprifuoco ha obbligato le persone con differenze di genere all’isolamento permanente ed ha reso difficile la prosecuzione delle terapie ormonali; si è osservato un aumento delle persecuzioni ai danni di persone LGBTQI+.

I dati non servono solo in vista della ricostruzione post-Covid, ma anche per colmare le diseguaglianze preesistenti. Dovremmo equipaggiarci di statistiche ufficiali e inclusive riguardanti la salute mentale, i tassi di occupazione, i salari[5].

Lo Stato di diritto

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’articolo 21 sancisce il diritto a non essere discriminati.

È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.

Ciascuno Stato membro, chi più e chi meno, ricalca questo diritto all’interno delle proprie carte costituzionali, eppure mancano anche qui, come per gli Stati Uniti, strumenti in grado di raccogliere informazioni sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

A tal proposito, nel 2017 è stato pubblicato un report dal titolo Data collection in relation to LGBTI Pople per effettuare una comparazione tra le pratiche di raccolta dati tra gli Stati membri.

In Europa, dice il report: “While LGBTI people are, to a greater or lesser extent, protected by anti-discrimination legislation across the Member States, there is relatively little systematic and recurrent data collection taking place in this field amongst EU Member States. In comparison to some other discrimination grounds, such as sex or age, sexual orientation and gender identity remain invisible in many social surveys. Moreover, any form of data collection pertaining to intersex people, hereafter referred to as the ground of sex characteristics, is still rare”[6].

Tuttavia qualcosa si sta facendo.

Data is also arising from the registration of complaints of discrimination by equality bodies and there is an emerging trend towards collecting data on incidents of homophobic or transphobic hate crime”[7].

Dati italiani su comunità LGBTQI+

La questione italiana è molto complessa. L’opinione pubblica si è spaccata in merito alla proposta di legge denominata DDL Zan, dal nome del deputato che l’ha presentata ai due rami del Parlamento. Nonostante si tratti di una legge che intende tutelare dalle discriminazioni e dalle violenze dettate dall’orientamento sessuale (quindi eterosessuali inclusi), la sua discussione ed approvazione subisce continui rinvii.

Comunità LGBTQI+ - omosessualità
Foto di Andreas Breitling da Pixabay

Sul fronte statistico le cose vanno leggermente meglio. L’Istat – Istituto Nazionale di Statistica – già nel 2011 effettuò una rilevazione sulle discriminazioni di genere, orientamento sessuale e appartenenza etnica in Italia. Quest’anno ha lanciato una nuova indagine: l’oggetto è la valutazione delle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone appartenenti alla comunità LGBTQI+.

L’indagine è frutto della collaborazione tra Istat e Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) con l’intenzione di approfondire la conoscenza delle discriminazioni esistenti al momento della ricerca di lavoro, nel corso dell’attività lavorativa, del clima e delle relazioni negli ambienti di lavoro, delle azioni intraprese a seguito di eventuali episodi di discriminazione. La raccolta dati è scaduta lo scorso 31 marzo.

In attesa dei risultati dello studio possiamo considerare quest’ultimo un altro passo verso una maggiore inclusività ma la strada è ancora lunga.

Immagine di copertina: Foto di Sharon McCutcheon su Unsplash.


[1] National Academies, “Understanding the Status and Well-Being of Sexual and Gender Diverse Populations”, 2020. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nationalacademies.org/our-work/understanding-the-status-and-well-being-of-sexual-and-gender-diverse-populations

[2] Kellan E. Baker, Ph.D., MPH, Carl G. Streed, Jr., MD, MPH, e Laura E. Durso, Ph.D. “Ensuring That LGBTQI+ People Count — Collecting Data on Sexual Orientation, Gender Identity, and Intersex Status”. N Engl J Med 2021; 384: 1184-1186, DOI: 10.1056 / NEJMp2032447  

[3] National Academies, op. cit.

[4] Commissario per i diritti umani, “COVID-19: The suffering and resilience of LGBT persons must be visible and inform the actions of States”, 2020. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.coe.int/en/web/commissioner/-/covid-19-the-suffering-and-resilience-of-lgbt-persons-must-be-visible-and-inform-the-actions-of-states

[5] Carolina De Giorgi, “Statistiche inclusive – C’è bisogno di più dati sulla comunità Lgbt”, Linkiesta, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.linkiesta.it/2021/04/dati-comunita-lgbt-sondaggi/

[6] “Sebbene le persone LGBTI siano, in misura maggiore o minore, protette dalla legislazione antidiscriminazione in tutti gli Stati membri, la raccolta di dati sistematica e ricorrente in questo campo tra gli Stati membri dell’UE è relativamente scarsa. Rispetto ad altri motivi di discriminazione, come il sesso o l’età, l’orientamento sessuale e l’identità di genere rimangono invisibili in molte indagini sociali. Inoltre, qualsiasi forma di raccolta di dati relativa alle persone intersessuali, di seguito denominata base delle caratteristiche sessuali, è ancora rara”.

[7] “I dati derivano anche dalla registrazione di denunce di discriminazione da parte di organismi per la parità e vi è una tendenza emergente verso la raccolta di dati su episodi di crimini d’odio omofobici o transfobici”.

Autore articolo

Martina Shalipour Jafari - autore

Martina Shalipour Jafari

Redattrice

Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
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o portatemi a vedere un bel film.

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