Written by 10:19 Home, Science

Deacidificazione degli oceani: una soluzione forse c’è

I ricercatori hanno individuato un metodo per migliorare il ph dei mari usando tecniche di geoingegneria oceanica

deacidificazione degli oceani

In un precedente articolo vi abbiamo raccontato degli studi di geoingegneria solare, sollevando dubbi sulla fattibilità. Parliamo di soluzioni tecnologiche impiegate per combattere cause ed effetti del cambiamento climatico su larga scala, manipolando il clima in maniera controllata e (ci si augura) sicura. In quel caso vi avevamo raccontato dei tentativi di abbattere i livelli di CO2 nell’aria, ma ci piace l’idea di tornare sull’argomento per parlarvi di una novità che riguarda, in questo caso, la deacidificazione degli oceani. Gli studiosi, infatti, hanno testato con successo una nuova e naturale tecnica per aiutare flora e fauna dei nostri mari: parliamo di geoingegneria oceanica.

Deacidificazione degli oceani: l’esperimento in Florida

Tutto è iniziato tre anni fa, quando il settore delle ostriche nella baia di Apalchicola (Florida) è entrato in crisi con l’innalzamento delle temperature delle acque, a causa di un eccesso di CO2[1]. Gli scienziati del clima sono scesi in campo per individuare una soluzione che aiutasse l’economia; soluzione che è stata individuata nel rilascio di calce nell’acqua, una polvere alcalina in grado di assorbire l’anidride carbonica in eccesso, riequilibrandone il ph. Un primo esperimento di successo sul campo del cosiddetto ocean liming[2].

Quella della deacidificazione degli oceani è una forma di geoingegneria che sfrutta normali processi di deterioramento delle rocce, con tempi però molto più rapidi[3]. Invece di impiegare delle ere, l’uomo fa in modo che lo stesso processo avvenga nel giro di breve tempo. Le tecniche impiegate per testarne la validità sono differenti: si va dall’immissione in acqua di grandi quantità di silicati o rocce carbonatiche o all’uso di olivina, minerali frantumati della stessa dimensione della sabbia, sparsi sulle spiagge così da rendere più naturale l’ingresso in mare.

Soffocare i mari: cosa c’è dietro

Il mare è in grado di attenuare autonomamente i livelli di CO2, assorbendo circa il 30% delle emissioni annue, ma una volta disciolta in acqua, l’anidride carbonica produce bicarbonato e ioni idrogeno[4]. Questi ultimi sono i responsabili dell’abbassamento del ph dell’acqua, della compromissione dell’ambiente marino e del mancato assorbimento di CO2 dall’atmosfera.

Per interrompere questa catena, gli scienziati del clima hanno riversato nella baia di Apalachicola 2.000 litri di acqua marina arricchita di calce, utilizzando un colorante non tossico per poterne seguire la dispersione. I risultati, come anticipato, sono stati migliori delle attese. L’esperimento ha registrato una diminuzione dell’acidità del mare senza picchi improvvisi, ripristinando la capacità di catturare anidride carbonica dall’atmosfera.

Foto di isaac mijangos da Pexels: https://www.pexels.com/it-it/foto/acqua-pesci-subacqueo-piante-verdi-12829684/

Deacidificazione degli oceani: quali altri tentativi?

Quello tentato in Florida non è il primo test del genere. Nel 2022, ricercatori del Center for Climate Repair dell’Università di Cambridge, insieme all’India’s Institute of Maritime Studies, hanno sparso bucce di riso ricoperte di ferro attraverso il Mar Arabico. L’obiettivo era quello di fertilizzare le acque promuovendo la crescita di alghe fotosintetiche. Purtroppo l’esperimento è stato definito inconcludente a causa di una tempesta ma dall’Australia giungono comunque buone novità proprio su questo fronte.

Tra 2019 e 2020 il continente è stato interessato da intensi incendi boschivi; incendi che hanno rilasciato nell’atmosfera qualcosa come 715 milioni di tonnellate di CO2. Una cifra calcolata con precisione grazie al monitoraggio troposferico effettuato attraverso TROPOMI, dal satellite Sentinel-5 Precursor dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA)[5].

Gli imponenti pennacchi di fumo generati dagli incendi, spazzati a migliaia di km di distanza dall’azione dei venti, hanno funto da concime per l’oceano. Le grandi quantità di ferro trasportate con essi, una volta sparse in acqua, hanno nutrito il fitoplancton, provocando gigantesche fioriture nell’Oceano Antartico. Queste foreste marine sono state in grado assorbire il 95% delle emissioni causate dagli incendi stessi.

Geoingegneria marina vs solare e forme di compensazione

Per quanto quello australiano sia un caso limite, è indicativo del fatto che l’esperimento tentato e fallito nel Mar Arabico fosse vincente, almeno sulla carta. Varrebbe la pena tentarlo una seconda volta sperando in previsioni meteorologiche migliori. Un altro elemento a favore delle tecniche di geoingegneria marina, rispetto a quelle solari, sta proprio nella misurabilità dei risultati. I fattori in gioco a livello atmosferico sono molteplici, imprevedibili e – passateci la licenza poetica – fumosi.

Al contrario, è più semplice misurare i risultati di esperimenti di geoingegneria marina. Che si tratti di un successo o meno. Gli esperimenti citati ne sono una prova e sono una valida alternativa anche ai tentativi di forme di compensazione che si stanno testando in questi anni. Primo fra tutti lo stoccaggio di CO2 nel sottosuolo.

I sistemi di stoccaggio nel sottosuolo

La CCS (Carbon Capture and Storage) permette di catturare il biossido di carbonio nell’atmosfera per immagazzinarlo in maniera permanente sotto terra, in formazioni geologiche o in pozzi esausti di petrolio o gas[6]. La CO2, infatti, può essere iniettata nei pozzi petroliferi per aumentare la resa dell’estrazione e fare in modo che venga trattenuta nel sottosuolo. Ma c’è chi sostiene che questo sistema non sia sufficientemente sicuro a causa dell’instabilità strutturale dei bacini esausti.

Centrale geotermica in Islanda. Fonte: greenreport.it

In Islanda, nei pressi della capitale Reykjavik, è stato inaugurato Orca (in islandese orka, ossia energia), il più grande impianto in grado di aspirare fino a 4.000 tonnellate l’anno di CO2 dall’aria per stoccarla sotto terra[7]. L’anidride carbonica catturata, in questo caso, viene mischiata all’acqua e pompata nel sottosuolo e trasformata in pietra, secondo il processo di mineralizzazione. Un sistema, questo, più sicuro e stabile anche a fronte di potenziali incidenti. Ma anche questo sistema, da solo, non basta. A dirlo è un recente report titolato The State of Carbon Dioxide Removal, pubblicato il 19 gennaio scorso, in cui si evince come, al netto degli sforzi per catturare il carbonio dall’aria, i quantitativi non sono sufficienti rispetto agli attuali livelli di emissione.

Insomma, la ricerca corre veloce, tra i cieli così come nelle profondità del mare, e (forse) per la prima volta da quando siamo di fronte alla sfida rappresentata dai cambiamenti climatici, abbiamo una risposta reale all’obiettivo della deacidificazione degli oceani. Almeno fino a prova contraria.


[1] Paul Voosen, “Ocean geoengineering scheme aces its first field test”, Science, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.science.org/content/article/ocean-geoengineering-scheme-aces-its-first-field-test?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=8b9cc51957-briefing-dy-20230111&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-8b9cc51957-46136706

[2] AGU, “B23C-09 – Continuous Monitoring of Net CODrawdown from Experimental Ocean Alkalinity Additions”. Consultabile al seguente indirizzo: https://agu.confex.com/agu/fm22/meetingapp.cgi/Paper/1196208

[3] Rinnovabili.it, “Che cos’è l’alcalinizzazione artificiale degli oceani, la geoingegneria che sfrutta il mare”, 2023. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.rinnovabili.it/ambiente/cambiamenti-climatici/alcalinizzaizone-artificiale-degli-oceani-geoingegneria/

[4] Paul Voosen, op. cit.

[5] Smrit Mallapaty, “Australian bush fires belched out immense quantity of carbon”, Nature, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-021-02509-3?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=58ed4acdb4-briefing-dy-20210916&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-58ed4acdb4-46136706  

[6] Federico Turrisi, “Catturare (e stoccare) la CO2 è utile oppure no? Proviamo a fare chiarezza con l’aiuto del Cnr”, Ogha, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.cnr.it/sites/default/files/public/media/ohga_co2_26_02_2021.pdf

[7] Rosita Cipolla, “In Islanda è stato inaugurato il più grande impianto di cattura e stoccaggio di CO2. Assorbe fino 4000 tonnellate di anidride carbonica all’anno”, Green me, 2021. Consultabile al seguente link: https://www.greenme.it/ambiente/clima/islanda-grande-impianto-cattura-co2/

Autore articolo

Martina Shalipour Jafari

Martina Shalipour Jafari

Redattrice

Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
Se volete rendermi felice regalatemi un libro
o portatemi a vedere un bel film.

(Visited 76 times, 1 visits today)
Close