Written by 10:25 Home, Reviews

I monologhi della vagina: chi sarà mai Ariel?

Il libro di Eve Ensler (1998) – Un invito alla lettura

I monologhi della vagina

Eve Ensler dedica I monologhi della vagina (The Vagina Monologues) ad una misteriosa figura: “Ad Ariel, che culla la mia vagina e mi fa esplodere il cuore”.

Non sappiamo Ariel chi sia e, probabilmente, non è poi così importante scovarne l’identità.

Sappiamo solamente che Ariel è in grado di cullare la vagina della nostra scrittrice. Inoltre, Ariel fa esplodere il cuore, come una certa poesia che si cela nelle segrete e oscure profondità della scrittura.

Chi mai sarà Ariel? È difficile scovare la natura di questa figura che sa titillare e sa far innamorare.

Ariel segna un percorso dalla vagina al cuore, attraversando le viscere e manifestandosi, nell’animo della scrittrice, come forza creativa generativa e deflagrante, come quello sguardo che attraversa L’origine du monde di Gustave Courbet (1866) e costringe lo spettatore del dipinto ad una visione contemplativa del senso profondo dell’esistenza: l’origine di tutto, il primo giorno dell’umanità.

 Ariel accompagna la scrittura con una presenza monologante e identitaria che fa, della straordinaria pièce teatrale di Eve Ensler, un vero e proprio capolavoro poetico di feroce impatto emotivo, civile, sociale, dis-umano ed inevitabilmente penetrante. Ariel, d’altronde, è anche quella misteriosa creatura shakespeariana che aleggia ne La Tempesta e, assieme al personaggio comico e basso di Calibano, rappresenta la faccia altra di una manifestazione poetica che fonde le oscurità tenebrose dell’interno e la leggiadra e vellutata veste anatomica dell’esterno. Se Calibano è l’uterina terra che, dalle melmose e viscerali cavernosità, innesca la vis poetica col suo andante dabasso continuo e, spesso, mostruoso, Ariel è la carezza della superficie, prima dell’atto penetrativo, lo scherzo o minuetto, volendo prendere in prestito la nomenclatura sinfonica. Calibano è la spinta interna, Ariel è il tocco preliminare che prepara i movimenti della terra, prologa i moti della carne e prelude all’orgasmo. Se Calibano scardina, ingoia ed accoglie, Ariel culla, prelude e conclude. Calibano è il mentre, Ariel è il prima e il dopo.

È proprio da tale temperie tematica di stampo shakespeariano che Eve Ensler dona, a lettori e spettatori, il più importante affresco mai realizzato di tutto ciò che caratterizza l’esperienza vaginale intesa non solo come indagine sul femminile, ma anche come rappresentazione di un archetipo e di un’identità antica che, dalle origini primigenie delle varie specie animali e vegetali, ha ossessionato ed ha reso panica l’esperienza sensibile di ogni essere vivente.

All’interno della drammaturgia, la V che divide in due entità (E – E) perfettamente in armonia tra loro il nome stesso della scrittrice (E-v-E) si veste, parla, ricorda, profuma, ha un sapore, si incazza, si diverte a fare la conchiglia, la rosa, il destino, assume la forma dell’io che si apre e si chiude, come un “tulipano eccentrico, dal centro acuto e profondo”[1], dal tenue profumo e dai petali delicati e robusti.

I monologhi di Eve Ensler, pertanto, rappresentano le tracce di un enorme affresco che fa, del monologo contemporaneo, un’occasione per innescare una dinamicità di stampo sociale e civile attraverso cui forgiare un’esperienza di tipo speculare per i lettori-spettatori (quando si parla di drammaturgie – e, quindi, di scritture teatrali – preferisco fondere le due figure del lettore e dello spettatore dato che qualsiasi esperimento di dramma, dai greci ad oggi, non è altro che una continua oscillazione dalla pagina scritta allo spazio teatrale: dalla drammaturgia allo spettacolo e viceversa). Tale esperienza genera una forma di empatia che induce ad un rapporto simbiotico tra gli esseri umani ed una parte del corpo molto spesso traumatizzata e traumatizzante, mutilata e venerata, nascosta e brutalmente ostentata, gratuita, venduta e svenduta, attraente e disturbante, malinconica e frenetica, accogliente e respingente, aperta e chiusa, per sempre.

Nel meraviglioso film Nymph()maniac di Lars Von Trier (2013) – di cui si consiglia la visione della versione in lingua originale, estesa e non censurata [Director’s Cut], distribuita dalla Good Films – si dice chiaramente: “the secret ingredient to sex … is love” (“l’ingrediente segreto del sesso … è l’amore”), perché proprio in quella specifica e sensibile zona del corpo umano si viene a condensare la meravigliosa compenetrazione di vivi contrasti che caratterizza il lessico amoroso.

Ariel e Calibano, pertanto, rappresentano i due aspetti di una pratica ossimorica dell’esistenza a cui Eve Ensler dedica il suo capolavoro facendosi portavoce di una grande partitura che, dalle fangose viscere abitate da Calibano, la creatura degli abissi, innesca un movimento ascendente che si conclude nel cullare estatico delle grazie di Ariel: “[…] la splendida donna mi insegna tutto sulla mia cosina. Mi fa toccare davanti a lei e mi insegna tutti i diversi modi per darmi piacere da sola. È molto precisa. […] Il mattino dopo ho paura di essere diventata un maschiaccio, perché sono così innamorata di lei. Lei ride, ma non la rivedrò mai più. Ora la gente dice che è stato una specie di stupro. Io avevo solo tredici anni e lei ventiquattro. Capii più tardi che lei fu la mia salvezza […]. Lei aveva trasformato la mia triste cosina e l’aveva innalzata in una specie di paradiso.”[2]

Ariel, ancora una volta, ha saputo compiere il suo incantesimo, su quell’isola abbandonata che è il nostro corpo: l’incantesimo è il paradiso. La V di Eve è un viaggio infinito tra le gambe, tra due mondi paralleli che si incontrano solo negli incanti dell’amore: “Il cuore è capace di perdonare e riparare. / Può cambiare forma per farci entrare. / Può allargarsi per farci uscire. / E così la vagina. / Può soffrire per noi e tendersi per noi, / morire per noi e sanguinare / e sanguinolenti immetterci / in questo difficile mondo meraviglioso. / E così la vagina. / Io ero lì nella mia stanza. / Io ricordo.”[3]


[1] Eve Ensler, I monologhi della vagina, Marco Tropea Editore, Milano, 2000, p. 12.

[2] Ibidem, p. 79.

[3] Ibid., p. 116.

Autore articolo

Ivano Capocciama

Ivano Capocciama

Regista e insegnante

Insegnante di lettere, studioso di teatro, mi occupo di regia e drammaturgia. Il mio lavoro artistico passa attraverso la letteratura drammatica moderna e contemporanea, la storiografia teatrale europea, i Teatri Laboratorio, l’Antropologia Teatrale e, soprattutto, i rapporti tra drammaturgia e spettacolo. Dal 2004 collaboro con vari istituti scolastici e scuole di recitazione, in qualità di regista, insegnante di movimento scenico, training attoriale, pratiche di messa in scena e studi di arte scenica per cantanti lirici.

(Visited 161 times, 1 visits today)
Close