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Il futuro della nostra esistenza – o meglio, sopravvivenza – è artificiale?

Quando scienza e tecnologia si uniscono e fanno la forza, si può crescere un feto senza utero e si può produrre il miele senza api

Copertina-Utero e miele

Spesso, si è soliti utilizzare il termine “artificiale” dandogli una connotazione non propriamente positiva. Tuttavia, dal dire che un qualcosa è fatto dall’uomo e non dalla natura non può e non deve necessariamente scaturire un giudizio di inappropriatezza e inaccettabilità. Un prodotto artificiale è, infatti, un prodotto dell’intelligenza umana, affidandosi alla quale l’uomo è ormai certamente in grado di migliorare il suo presente e ancora decisamente in tempo per riscattare il suo futuro.

A sostegno di questa nostra tesi, allora, abbiamo scelto di riportare due esempi, raccontando due ambiziosi progetti, che, sebbene distanti tra loro, evidenziano come l’uomo, per merito del suo ingegno, sappia trovare una soluzione sia per problemi a lui preesistenti sia per problemi da lui derivanti.

1. Un grembo artificiale per i nati prematuri

Otto agnelli nati prematuri sono stati fatti crescere per quattro settimane all’interno di una sacca riempita di una soluzione elettrolitica simil liquido amniotico: si è trattato di un grande successo – le precedenti ricerche non avevano ecceduto, infatti, i pochi giorni[1] – riportato da una squadra di ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia, capeggiata dal dott. Alan Flake, il cui studio è stato pubblicato su Nature Communications nel 2017.

L’innovazione, alla quale è stato dato il nome di Biobag, consisterebbe in un sistema di sviluppo extra-uterino per i feti e, dunque, per quei bambini che, nascendo estremamente prematuri (ovvero, non prima di 37, ma addirittura prima di 28 settimane di gestazione), dentro questa sacca, a replica del grembo materno, potrebbero, allora, continuare a crescere, scongiurando così il pericolo di incorrere in gravi complicazioni o persino di morire.

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Pubblicato da Facebook App su Venerdì 5 dicembre 2014

Com’è fatta una Biobag?

Sebbene non siano visivamente simili, una Biobag si compone delle stesse parti e riproduce le stesse funzioni essenziali di un utero: l’apparenza è quella di un sacco in plastica trasparente, all’interno del quale racchiudere il feto per proteggerlo dall’esterno, proprio come se si trovasse ancora nel grembo materno; la soluzione elettrolitica già menzionata andrebbe a sostituire il liquido amniotico; al feto verrebbe ugualmente dato modo di far circolare il suo sangue, così da scambiare l’anidride carbonica con l’ossigeno[2].

Quali gli esperimenti condotti finora e quale il futuro della Biobag?

In un rapporto di equivalenza con quelli di bambino, i feti di agnello che sono stati utilizzati dal dott. Alan Flake e dal suo team per i loro esperimenti all’ospedale pediatrico di Philadelphia si trovavano tra la 22° e la 24° settimana di gestazione. Trascorse le 4 settimane nella Biobag, gli agnelli sono stati sottoposti a ventilazione neonatale, rivelandosi tanto in salute quanto gli agnelli nati con parto cesareo, dopodiché sono stati soppressi per procedere all’analisi di cervello e polmoni, i due organi più esposti ai danni di una nascita prematura: quest’ultimi sono risultati illesi e tanto ben sviluppati quanto avrebbero dovuto essere[3].

Nel 2019, il programma di finanziamento della Commissione Europea, “Horizon 2020 EU”, ha stanziato una somma pari a 2.9 milioni di euro per un utilizzo clinico dei prototipi. Il progetto verrà portato avanti da una squadra dell’Eindhoven University of Technology, capeggiata dal prof. Guid Oei. Il team si sarebbe prefissato di raggiungere l’obiettivo entro un massimo di cinque anni, conducendo nuovi esperimenti per mezzo non più di feti animali, ma di stampe 3D che replicherebbero, invece, proprio dei feti umani[4].

Utero artificiale

2. La startup americana che vuole produrre miele senza api

Si chiama MeliBio la startup californiana del biotech, che, a fine 2021, dovrebbe brevettare del miele sintetico, sarebbe a dire, del miele prodotto senza api . Si tratta di un’idea di Darko Mandich, imprenditore serbo e fondatore della startup insieme ad Aaron Schaller, dottore di ricerca in biologia cellulare e molecolare presso la Berkeley University of California.

Anche quello di MeliBio è un lavoro di sperimentazione nel settore della cosiddetta “biologia sintetica”, un nuovo campo di ricerca “multi-” e “trans-” “-disciplinare”, tecnico-scientifica (consisterebbe in un’ingegnerizzazione della biologia, a partire dalle biotecnologie[5]), che sfrutterebbe il processo di fermentazione, come già si sta facendo per carne, latticini e uova.

Senza alterazioni nella composizione, di modo che i benefici restino gli stessi, e senza nemmeno variazioni nel gusto, MeliBio sta promettendo – per ora, alle aziende (circa una quindicina) con cui sono già stati presi accordi – un miele sintetico sostanzialmente identico a quello naturale. L’obiettivo è quello di riuscire a produrre più eticamente di quanto non si faccia, introducendo nel mercato un prodotto che riesca ad essere, nel tempo, sempre più accessibile e anche più economico.

Proprio lo scorso anno, il miele è risultato essere il dolcificante prediletto negli USA, sorpassando lo zucchero, in virtù delle sue proprietà benefiche e in considerazione di un trend diffuso, quello per cui si è in numero crescente a modificare, migliorandole, le proprie abitudini, prestando maggiore attenzione al proprio benessere e all’equilibrio dell’ecosistema e dell’ambiente[6]. Nel 2018, il mercato americano del miele ammontava ad una somma pari a 8.4 miliardi di dollari[7]. Secondo le previsioni, il suo valore dovrebbe raggiungere i 14.4 miliardi di dollari entro il 2025[8].

Miele

Perché e come eticizzare la produzione del miele?

Le api appartengono a una classe di animali, quella degli insetti, che attualmente è in via di estinzione. Oltre a ciò (un fatto già da sé gravissimo), proprio in Nordamerica, si sta iniziando a fronteggiare anche un altro grande pericolo, poiché la variabilità fra le numerose specie di api (in totale, in tutto il mondo, ce ne sarebbero un numero pari a ventimila) viene seriamente minacciata proprio dal fiorente mercato del miele. Il progetto della startup MeliBio è, infatti, anche e soprattutto un’iniziativa a protezione della biodiversità.

Embracing innovations in technology and science will be the key to ensuring the survival of not only the bees, but of our species as well.

The State of the Bees

La stessa MeliBio ha pubblicato un report  da cui evincere quale sia il problema, ovvero che le api produttrici di miele non sono le migliori impollinatrici. A confronto con un ape da miele, ad esempio, un bombo impollinerebbe quasi il doppio delle piante.

Con il termine “impollinazione” si indica il processo che è alla base della riproduzione delle piante: il granulo di polline viene trasportato da un fiore ad un altro, la cui cellula uovo viene così fecondata per il successivo sviluppo del seme. I “granelli di polline mancano di movimento autonomo”[9], ragion per cui “l’impollinazione avviene tramite agenti esterni, quali il vento, gli animali, l’acqua e la gravità terreste”[10]. Dovendo raccogliere il nettare dalle piante per il proprio nutrimento, ecco che le api agiscono proprio da impollinatrici.

Proteggere la biodiversità animale significa, dunque, proteggere anche la biodiversità vegetale, garantendo le quali, del resto, non faremmo altro che proteggere noi stessi, assicurandoci una continuativa esistenza sul nostro pianeta.

Impollinazione

Il punto è, come spiega MeliBio nel suo report, che quella dell’apis mellifera, sebbene sia la più popolosa, non è una specie nativa del Nordamerica, dove, infatti, sarebbe arrivata a bordo dei galeoni spagnoli nel 1620, tanto è vero che questa specie è altresì nota come “ape europea”. La sua ampia diffusione è, dunque, il risultato del suo allevamento intensivo.

A risentirne, ovviamente, sono tanto le altre specie quanto anche le piante, in generale, impattate, infatti, altrettanto negativamente. Come non è difficile intuire, trattandosi di produzione industriale, le stesse api europee stanno risentendo delle condizioni di vita in cui vengono allevate, determinando, con il proprio, anche e soprattutto il “malessere” altrui: pare, ad esempio, che, in Nordamerica, l’estinzione del bombus sia da ricollegare ad alcune malattie trasmessegli dall’apis mellifera, la quale, proprio a causa dell’allevamento intensivo, sembrerebbe più esposta all’azione di diversi patogeni. Senz’altro, anche i cambiamenti climatici stanno giocando un ruolo importante in questa situazione di emergenza, ma non c’è pur sempre, in tutto ciò, lo zampino dell’uomo?

Essere causa non vuol dire, però, non poter essere rimedio. Dopo le api-robot e dopo il metodo giapponese per l’auto-impollinazione delle piante, l’innovazione-soluzione di MeliBio è, per l’appunto, quella di un miele prodotto senza api, a svantaggio di una specie innaturalmente popolosa e a vantaggio di migliaia di altre specie pericolosamente spopolanti.

Il miele prodotto senza api in Cina

Né un’utopia – la scienza può anche questo –  né una vera e propria novità, dal momento che esiste già ed è già in circolazione, anche in Italia, un miele prodotto senza api, non di provenienza americana, ma cinese. Tuttavia, la Confederazione Italiana Agricoltori ha subito lanciato l’allarme in merito, poiché si tratta di un prodotto adulterato,miscelato con del miele naturale per nascondere la contraffazione, non conforme alle norme europee, le quali vietano l’aggiunta di sostante estranee, e che sta generando, ovviamente, una concorrenza sleale. Quello prodotto senza api in Cina sarebbe, infatti, un “miele” a base e prevalenza di sciroppo di zucchero, un prodotto, dunque, tutt’altro che genuino e salutare.

L’Italia, che ha bocciato il “made in PRC”, come accoglierà, invece, il “made in USA”? Lo scopriremo nella prossima puntata.


[1] Cfr. Le Scienze, “Un grembo artificiale da record”, 2017. Consultabile al seguente indirizzo https://www.lescienze.it/news/2017/04/26/news/sviluppo_feto_extrauterino_prematuro-3503305/.

[2] Cfr. Rachel Becker, “An artificial womb successfully grew baby sheep – and humans could be next”, 2017. Consultabile al seguente indirizzo https://www.theverge.com/2017/4/25/15421734/artificial-womb-fetus-biobag-uterus-lamb-sheep-birth-premie-preterm-infant.

[3] Ibidem.

[4] Cfr. Nicola Davis, “Artificial womb: Dutch researchers given €2.9m to develop prototype”, 2019. Consultabile al seguente indirizzo https://www.theguardian.com/society/2019/oct/08/artificial-womb-dutch-researchers-given-29m-to-develop-prototype.

[5] Cfr. Angela Simone, “4 passi nella Biologia Sintetica”, 2014. Consultabile al seguente indirizzo https://aulascienze.scuola.zanichelli.it/come-te-lo-spiego/2014/05/27/4-passi-nella-biologia-sintetica/.

[6] Cfr. Christopher Doering, “MeliBio makes honey without bees”, 2020. Consultabile al seguente indirizzo https://www.fooddive.com/news/melibio-makes-honey-without-bees/587359/.

[7] Grand View Research, “Honey Market Size & Share, Industry Report, 2019-2025”, 2019. Consultabile al seguente indirizzo https://www.grandviewresearch.com/industry-analysis/honey-market.

[8] Grand View Research, “Honey Market Size Worth $14.4 Billion by 2025”, 2019. Consultabile al seguente indirizzo https://www.grandviewresearch.com/press-release/global-honey-market#:~:text=The%20global%20honey%20market%20size,8.0%25%20over%20the%20forecast%20period..

[9] Treccani, “Impollinazione”. Consultabile al seguente indirizzo https://www.treccani.it/enciclopedia/impollinazione.

[10] Ibidem.

Autore articolo

Federica Fiorletta

Federica Fiorletta

Redattrice

Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.

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