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Il vedere esemplare nella filosofia fenomenologica e la percezione delle affordances etiche nella fenomenologia sperimentale

Scienza e filosofia

filosofia fenomenologica

Abastract: L’alleanza tra Scienza e Filosofia, oggi, guarda alla percezione delle qualità di valore delle cose come a un campo che annuncia scoperte promettenti per la conoscenza delle persone, per la qualità delle relazioni interpersonali, per la stessa vita affettiva delle persone. Ne escono modificati valutazione e giudizio: mondo degli osservabili, qualità espressive, strutture emergenti, espressività del corpo umano, infatti, ci mostrano i caratteri originariamente offerenti delle cose e delle persone. Quello che risulta evidente del valore delle cose è nelle cose stesse, nella loro natura. Psicologia della forma e fenomenologia sperimentale sono all’origine di ricerche sulla percezione che assegnano alle cose e alle persone quelle qualità terziarie che ci rivelano l’oggettività del valore delle cose e delle persone.

Parole chiave: qualità terziarie, percezione, affordance

Una delle conquiste sicure della storia della filosofia è data senz’altro dalla distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie delle cose. Le caratteristiche proprie dell’oggetto reale, come durezza, grandezza, peso, moto, costituiscono l’oggetto di studio della Fisica. I colori, gli odori, i sapori che scopriamo nelle cose riguardano, invece, caratteristiche proprie del nostro modo di percepirle. Se in Galilei la distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie appare netta, Hume riproporrà le prime come oggetti comunque della percezione dei sensi umani e le seconde come ugualmente dotate delle caratteristiche delle prime.

Al di là degli esiti scettici della riflessione humeana, che porta all’idea secondo la quale anche la percezione delle qualità primarie si ridurrebbe all’esperienza soggettiva che ne facciamo, è accettabile lo sforzo di ricondurre tutte le qualità delle cose al loro darsi a noi, essendo parte del mondo degli osservabili, anche se le primarie sono matematizzabili e più astratte.

Ciò che preme di più è andare oltre ogni dualismo, come fisico/psichico, reale/apparente, a vantaggio di una unità della realtà che si offra all’indagine in regioni ontologiche irriducibili l’una all’altra. Affermare che tutti gli oggetti del mondo sono parte di un mondo sotto osservazione significa ammettere che numerose ambiguità visive caratterizzano la percezione delle forme, anche se sono cosa ben diversa dalle illusioni che caratterizzano spesso la percezione delle qualità secondarie. Oltre Galilei e Hume, dunque, occorre rivolgersi a tutte le qualità osservabili in modo nuovo.

Scopriremo che alcune qualità sono più stabilmente osservabili, come ritiene Paolo Bozzi (1930-2003) con la sua fenomenologia sperimentale: dobbiamo a lui l’introduzione di un’altra classe di qualità che egli definisce qualità terziarie e che sono accomunate dal fatto di essere qualità di valore delle cose, non importa se di tipo positivo o negativo.

Dallo psicologo Kurt Lewin ai filosofi Pfänder e Ingarden, si è parlato di “caratteri di invito o repulsione”, “esigenze”, “domande”, ma darà un contributo decisivo in tempi più recenti lo psicologo americano James Gibson con il concetto di affordances, opportunità o ostacoli che gli oggetti offrono alla nostra azione. L’oggetto risulta dotato di una dimensione di significato e valore. Poterli afferrare comporta anche il fatto di poterne essere affetti, non importa se gradevolmente o sgradevolmente. La fondazione di queste qualità è nella struttura stessa delle cose sotto osservazione. Chiameremo strutture fenomeniche emergenti le unità strutturate e coese che ci si mostrano come proprietà degli oggetti.

Abbiamo accesso direttamente alle unità percettive degli oggetti dotate di determinati valori o informazioni per noi, indipendentemente da associazioni di idee, inferenze o da tutto ciò che ne sappiamo già. Diremo, allora, che vediamo in un portone aperto durante la pioggia un luogo adatto per trovare riparo e questo grazie alla nostra capacità di cogliere i caratteri invitanti che proprio quel posto può offrirci.

L’esperienza immediata e diretta delle qualità terziarie è stata definita percezione o sensibilità affettiva (Roberta De Monticelli), perché esperienza che è in grado di individuare proprietà delle cose dalle quali possiamo essere affetti, positivamente o negativamente.

Il modo di apparire della realtà a noi è quello che noi fenomenologi chiamiamo fenomenico. Il cuore della tradizione fenomenologica è dato da un nuovo modo di concepire il rapporto tra apparenza e realtà. Il senso comune è portato a distinguere e a tenere separati i due piani, immaginando sempre che la realtà più vera sia tutta dietro le cose stesse, nella materia di cui è fatto un corpo fisico, nell’anima come vera realtà della persona, come se il primo termine fosse la “causa” della cosa stessa. La fenomenologia sostiene che i fenomeni siano i modi in cui le cose appaiono a noi, ed esse appaiono in modo tale da consentire l’emergere di cose nuove rispetto ai tratti esteriori dell’apparire. Una sinfonia è cosa nuova rispetto ai suoni di cui si compone, una persona è cosa nuova rispetto all’organismo che pure la costituisce. Il fenomeno è quella unità fortemente strutturata che abbiamo definito struttura fenomenica emergente e che manifesta le proprietà essenziali e l’identità specifica della cosa, ma soprattutto si fa portatrice di quei significati e delle valenze che chiamiamo qualità terziarie degli oggetti.

Lo spirito della fenomenologia si può riassumere nella formula Niente appare invano (cioè senza un fondamento di realtà) (Roberta De Monticelli). Questo principio generale è sostenuto da due principi più maneggevoli:

  • Il Principio di evidenza, secondo il quale ogni tipo di cosa ha un modo specifico di darsi a conoscere intuitivamente, ovvero di apparire per quel-lo che è, essenzialmente;
  • Il Principio di trascendenza, secondo il quale ogni tipo di cosa ha un modo specifico di trascendere la sua apparenza, ovvero di essere realmente al di là di quanto ne appare.

La Regola di fedeltà si può articolare in due parti:

  • Accogli (nelle descrizioni che dai, nei concetti che usi) ogni cosa come essa si dà a conoscere, ovvero per quello che appare, essenzialmente (o tipicamente);
  • Lasciati guidare oltre le apparenze delle cose dalle apparenze stesse, ovvero segui il profilo nascosto della cosa, quale te lo suggerisce il profilo apparente.

Diremo allora in questa prospettiva che il modo tipico in cui una cosa si fa conoscere (il suo stile di evidenza) e il modo tipico in cui quella cosa trascende l’apparenza (il suo stile di trascendenza) sono due lati della stessa medaglia: il modo più corretto di approfondire la conoscenza di una cosa è indicato dal modo stesso in cui quella cosa appare.

«Alla base della rivoluzione fenomenologica c’è l’idea che i fenomeni, cioè gli aspetti apparenti ed esperibili delle cose, lungi dall’essere mere parvenze, portino all’esistenza cose nuove rispetto ai costituenti di base, di cui pure ogni cosa è fatta» (Roberta De Monticelli). Oltre le cose, le persone stesse, che non sono cose tra le cose, risultano allo sguardo più della loro realtà fisica di organismo biologico, che pure costituisce la base del loro consistere nella natura e nell’ambiente storico e sociale. «“Fenomeno” non è semplicemente l’apparenza della cosa. La parola denota quella che chiameremo la “struttura emergente” della cosa. […] L’identità delle cose è determinata, per così dire, a partire dalla loro superficie.

Questa superficie, il fenomeno, è la manifestazione stessa dell’identità della cosa, e ciò che bisogna analizzare per stabilire le specifiche condizioni di esistenza e permanenza della cosa, la sua specifica realtà o efficacia causale». « Fenomeno è ciò la cui esperienza è virtualmente infinita, e comunque “profonda”: c’è sempre di più da vedere (o da sentire, o da intuire) di quello che provvisoriamente risulta». Ne consegue per noi che il vedere esemplare della fenomenologia è quel tornare ininterrotto alle cose, per attingere da esse ulteriori elementi di conoscenza che ci consentano di cogliere nella sua interezza la realtà della cosa stessa, della persona, oltre il paesaggio desertico della Fisica, che non è disposta a «riconoscere tipi di entità nuove, con condizioni di esistenza e poteri causali nuovi, rispetto a quelle di cui rende conto la Fisica».

La fenomenologia, «per il suo verso esperienziale, cioè per la fedeltà ai fenomeni dati, si colloca agli antipodi anche di quella filosofia della conversazione, o postmodernismo o relativismo culturale, che intende addirittura tutta la nostra esperienza sensoriale e affettiva come totalmente dipendente dal linguaggio o dalla cultura, e quindi priva di ogni possibilità di avventura vera: non veramente capace di scoperta, di novità. Questa filosofia, oggi, […] acceca la visione dei contenuti non concettuali dell’esperienza. Non lascia al percepibile neppure un margine di presenza oltre i concetti già acquisiti, e alla percezione alcuna nuova acquisizione possibile, e neppure alcun rischio. Lo stesso per il sentire e ogni altro modo della cognizione diretta.

Per la fenomenologia, invece, il mondo, lungi dall’essere totalmente immerso nei significati noti, è ancora tutto muto, nell’essenziale, e tutto ancora da scoprire nella ricchezza delle sue regioni, e, certo, per quanto possibile anche da catturare in concetti: concetti nuovi, che allo scopo occorre costruire» (R. De Monticelli, Ontologia del nuovo. La rivoluzione fenomenologica e la ricerca oggi (2008), pp.5-27).

La regione della realtà alla quale poi fa sempre riferimento Roberta De Monticelli è la persona. Il nostro vedere esemplare, se pensiamo ai ‘meccanismi’ della percezione, non potrà mai ridursi alla somma delle percezioni di cui pure facciamo quotidiana esperienza, perché la conoscenza personale è ben degna di meraviglia, per il fatto che si possa «“vedere” di una cosa ciò che solo la sua presenza “in carne ed ossa” (il suo fenomeno) mi rivelerebbe» […]: Incontrare individui in quanto esemplari, e non in quanto particolari: vedere un particolare non come quel particolare ma nella sua esemplarità: come esemplare di un tipo».

Se riusciamo a portare ad evidenza la questione delle caratteristiche “essenziali” o strutturali di una cosa – di una persona -, bisognerà che in qualche modo abbiamo avuto presente, in una pienezza intuitiva, la cosa in questione. Fare esperienza della presenza di una persona non è mero ‘percepire’, dunque, un individuo, per quanto ricco di caratteristiche proprie, ma è «quel “vedere eidetico” o essenziale, il quale non potrebbe darsi, in ultima analisi, senza il vedere empirico, come questo senza quello: ma che nondimeno restano atti distinti. Ancora più chiaro sarebbe chiamarlo “vedere esemplare”, perché davvero non si possono vedere delle caratteristiche essenziali se non avendo in qualche modo davanti agli occhi le cose che le esemplificano». Esso è un tipo di esperienza, cioè l’esperienza fenomenologica, che contrapporremo all’esperienza induttiva, o, appunto, “empirica”.

Se consideriamo, ad esempio, un oggetto come la lettera e dell’alfabeto, per il fatto che è presente sempre allo stesso modo, comunque venga scritta e pronunciata, diremo che non si tratta di un dato empirico, se dati empirici sono le occorrenze della lettera stessa, cioè l’esperienza ripetuta della sua presenza nei diversi contesti linguistici; eppure, non sta altrove che nella singola realtà delle singole occorrenze. E’ un dato essenziale, oggetto di un intuire eidetico, di un vedere esemplare. E’ un oggetto ideale. Questo dato essenziale ha “portata ontologica”, in quanto l’iscrizione della lettera e è cosa nuova, un’altra cosa rispetto ai punti d’inchiostro o ai pixel di cui è fatta.

Il passo successivo da compiere è riferirsi alla tesi di esistenza di dati non empirici, siglata con EX (essenze esemplificate, o exempla):

(EX) Le cose hanno e manifestano (parzialmente) nei loro fenomeni proprietà essenziali, o invarianti strutturali, che caratterizzano il loro tipo. I tipi di cose hanno portata ontologica, vale a dire appartengono ciascuno a uno strato o a una regione di realtà irriducibile ad altri.

Ontologia del nuovo - Roberta de Monticelli

E’ opportuno soffermarsi qui su un punto importante, che giustifica «l’uso da parte di Max Scheler di “esperienza fenomenologica” come sinonimo di “vedere eidetico”. Ecco una descrizione scheleriana del dato: «Non importa come si arriva a vedere qualcosa. Questo può avvenire per esempio mediante un esperimento, ma se così avviene l’esperimento non ha un senso induttivo ma è come i cosiddetti “esperimenti illustrativi” dei matematici, che confermano la possibilità di un concetto precedentemente definito».

La tesi di esistenza di dati essenziali, contrariamente alle aspettative, non esclude affatto dunque la possibilità di una Fenomenologia sperimentale, per riprendere il titolo di una delle più importanti opere di Paolo Bozzi.

A lui si rifà l’opera della giovane studiosa Francesca Forlè con il suo Qualità terziarie. Saggio sulla fenomenologia sperimentale (Franco Angeli Editore, 2017) in cui, dopo aver proposto la nozione di mondo sotto osservazione di Bozzi, che ci appare in linea con gli argomenti di Wolfgang Köhler (La psicologia della Gestalt, Feltrinelli, 1961), a proposito di osservazione diretta di fenomeni soggettivi, contro le pretese del behaviorismo di ridurre la Psicologia ai metodi della Fisica, viene introdotto l’argomento dell’accessibilità all’osservazione, oltre la schematica contrapposizione di qualità primarie e qualità secondarie: tutte le qualità si danno sensibilmente a noi, hanno una comune origine nella realtà delle cose, fanno parte di quella totalità di osservabili in cui ci troviamo costantemente immersi.

Certo, le qualità secondarie sono soggette a illusioni o interferenze dovute all’osservazione del percipiente, ma se consideriamo il cubo di Necker «ci accorgiamo di come l’impostazione di chi guarda può sovvertire i rapporti tra i vertici e le facce del cubo, modificando così le relazioni tra i punti nello spazio e la collocazione del cubo rispetto all’osservatore. Sono note, infine, le numerose ambiguità visive che caratterizzano la percezione delle forme, dalla giovane-vecchia all’anatra-coniglio al vaso-volti umani».

Dunque, tanto le qualità secondarie quanto le qualità primarie sono fatti sotto osservazione, soggetti a precise leggi di manifestazione, anche in relazione all’osservatore. Ne consegue «il carattere deludente della percezione», con la ricerca di qualità più stabilmente osservabili, la reintroduzione di una qualche distinzione tra qualità primarie e secondarie, benché non più sulla base di una concezione di stampo dualistico. Su queste rinnovate premesse, Bozzi introduce la classe delle qualità terziarie, che presenteremo a partire dagli esempi più classici citati da lui:

Se il nero è lugubre, il rosso è vivace. L’ombra di un grande albero verde è riposante e distensiva. Un accordo di settima diminuita è raggricciante e teso. Un gesto lento e ascendente è ieratico.

Come dice Bozzi, sembra che ci siano caratteristiche che «calamitano» quegli aggettivi che usiamo per descriverle.

La natura che accomuna le qualità terziarie è il fatto di essere qualità di valore, negativo o positivo delle cose. Esse sono, cioè, quelle qualità che mostrano il senso, il significato, nonché le valenze positive o negative degli oggetti del mondo con cui abbiamo a che fare. Gli oggetti sono presenti alla coscienza della persona umana come dotati di valori, gradevoli o sgradevoli, carichi di opportunità o ostacoli (Roberta De Monticelli).

«In ambito filosofico, così come anche in ambito psicologico, sono tante le declinazioni con cui si è colta la centralità delle qualità terziarie. Kurt Lewin parlava di “caratteri di invito o repulsione” delle cose; Alexander Pfänder di “esigenze” o “domande” che la realtà ci pone; Roman Ingarde, a proposito delle qualità espressive delle opere d’arte, definiva le qualità terziarie “qualità metafisiche”; e in tempi più recenti lo psicologo americano James J. Gibson ha introdotto il concetto di affordances, opportunità e ostacoli che gli oggetti possono offrire soprattutto alla nostra azione. […] Afferrare tali qualità significa inoltre, come dice De Monticelli, poterne essere affetti, più o meno gradevolmente o sgradevolmente».

Data la vastità dell’ambito delle qualità terziarie, non sarà possibile farne una trattazione adeguata ed esaustiva. Occorrerà dedicare ad esse un altro articolo, per illustrarne tutte le ‘potenzialità’ etiche per noi. Basti pensare, infatti, alla percezione di qualità di valore, di cui facciamo esperienza nelle nostre esperienze sentimentali statu nascenti, ma sempre più intensamente quando si stringano legami tra le persone, per comprendere quale peso finirà per esercitare sul ‘destino’ di una relazione un giudizio di valore che sia sostenuto da un “vedere esemplare” che ci metta al riparo da illusione ed errore. Maturità affettiva ed esattezza del sentire concorreranno senz’altro a definire il nostro ordine del cuore (De Monticelli), ma l’educazione sentimentale ricevuta, i miti personali, gli apprendimenti ‘sbagliati’ influiranno non meno pesantemente sulle nostre azioni.

Le neuroscienze ci dicono che «I neuroni specchio apprendono dall’esperienza». Uno sguardo fenomenologico sulle cose potrà sempre venire in nostro soccorso, guidandoci nell’osservazione delle nostre percezioni della realtà umana dell’altro.

La mente relazionale - Daniel Siegel

Autore articolo

Gabriele De Ritis - autore

Gabriele De Ritis

Professore e filosofo

Laureato in Filosofia, ho insegnato nei Licei per trentacinque anni.
Come Educatore, ho lavorato in un Centro di ascolto per tossicodipendenti.
Il rapporto tra Filosofia e Scienza si concretizza oggi
nell’interesse per l’influenza che le neuroscienze esercitano sulla Filosofia.

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