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Mondiali in Quatar: in campo senza diritti umani

Quando il lavoro non è vita

Qatar

Ogni anno vengono organizzati moltissimi grandi eventi, con lo scopo di radunare persone e far vivere esperienze impareggiabili. Dalle grandi fiere internazionali agli eventi sportivi, queste occasioni si trasformano in opportunità per i paesi e le città che hanno la fortuna di ospitarli. Tanta gente vuol dire tanti soldi e, soprattutto, tanto lavoro “da dare” affinché i preparativi siano impeccabili e all’altezza della situazione.
Ma dietro queste grandi occasioni d’oro si nasconde un lato meno scintillante che riguarda tutti gli operai impegnati nella costruzione e nell’allestimento di giganteschi luoghi.

Mondiali in Quatar: morti di lavoro

immagine da eurosport.it

Nel 2010 il Quatar ha vinto la selezione per ospitare uno degli appuntamenti più attesi: i mondiali di calcio. Un evento coi fiocchi, che raccoglie tifosi da tutto il globo, intenzionati a partecipare a un’esperienza storica, probabilmente senza badare troppo a spese.
Un’opportunità per il Quatar, che può mettere in mostra non solo le sue bellezze urbane e naturalistiche, ma anche la sua organizzazione e professionalità.


Ma dal 2010 più 6.500 lavoratori migranti residenti in Quatar sono morti a causa delle strazianti condizioni lavorative e di vita.
Sempre in questo anno il Paese ha avviato numerosi progetti: un nuovo aeroporto, rifacimento delle strade, hotel, stadi e un’intera nuova città che ospiterà la finale della competizione sportiva.

Gran parte dei lavoratori migranti in Qatar, circa un milione sui due milioni totali, è impiegata nell’edilizia e si è trasferita appositamente a seguito della sua scelta come Paese ospite dei mondiali di calcio. Ma un’inchiesta condotta nel 2013 aveva già anticipato dei retroscena strazianti: operai costretti a lavorare sopportando temperature che toccavano i 50° e privati di un libero accesso a fonti di cibo e acqua. A questo si aggiungeva un ritardo dello stipendio (oppure una sottrazione quasi totale) se qualcuno provava ad avanzare critiche o lamentele sulle condizioni di lavoro.

Mondiali in Quatar: un sistema che sopprime

Alla base di questo modo di agire nei confronti degli operai assunti per portare avanti i grandi progetti di rinnovamento, ci sarebbe un sistema consolidato di reclutamento della manodopera immigrata. È il sistema della kafala.
Partendo dal suo significato:

“in arabo la parola kafala ha un duplice significato, perché si riferisce a elementi di tradizione islamica tribale e legale. Da un lato, significa “garantire” (daman) ed esprime il concetto di garanzia per conto di qualcuno quando si trattano affari economici. Dall’altro, significa “prendersi cura di” (kafl), e indica il comportamento da adottare quando si interagisce con un soggetto non indipendente o autonomo, come un minore”.

Nulla di strano, se non fosse che, applicato in un certo modo a rapporti lavorativi, questo sistema condanna i lavoratori stranieri a una condizione di totale sottomissione ai loro sponsor: da un lato, i migranti dipendono dal datore di lavoro che rilascia loro lo stipendio; dall’altro, sono ulteriormente assoggettati allo stesso datore, dal quale dipende l’approvazione del loro status di residente legale nel Paese.
Quello degli operai in Quatar non è un caso isolato, sono state denunciate tantissime situazioni simili in paesi come il Libano, in cui le donne immigrate impiegate nei lavori domestici definivano la casa che curavano una vera e propria prigione.

Immagine da Agi.it

Mondiali in Quatar: un calcio al sistema

Si tratta di numeri assurdi, quelli degli operai morti durante i lavori di preparazione ai Mondiali di calcio. In seguito alle denunce a livello internazionale e alle indagini condotte dall’Organizzazione mondiale del lavoro il Quatar ha finalmente messo un fermo al sistema della Kafala a settembre 2020. Un traguardo per tutti lavori migranti, che nel Paese rappresentano più del 90% della forza lavoro. Anche se un traguardo raggiunto con amarezza.

Fonti:

Ultimavoce.it
Wired.it
Amnesty.it


Autore articolo

Sara Giovannoni

Sara Giovannoni

Redattrice

Copywriter pubblicitario, cinefila, nerd.
 Cerco di vivere la vita sempre con la curiosità e lo stupore di un bambino.
Amo scrivere delle cose che mi appassionano,
ecco perché spero di pubblicare, prima o poi, il mio libro sul Giappone.
 
Intanto keizoku wa chikara nari. 
Se volete, andate a cercare il significato!

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