Nel 1861, un terremoto devastò la sesta isola più estesa della Terra, quella di Sumatra, in Indonesia. A lungo si è creduto che una faglia precedentemente quiescente si fosse rotta improvvisamente, ma stando ad alcune recenti ricerche il cataclisma sarebbe stato tutt’altro che inaspettato. Pare, infatti, che le placche tettoniche al di sotto dell’isola avessero iniziato a collidere ben 32 anni prima, scontrandosi per l’intero arco di tempo successivo, ma alquanto inavvertitamente, almeno fino al 1861.
Un terremoto “a rallentatore”
“Evento di scivolamento lento” (dall’inglese “slow-slip event”): è questo il nome che viene dato al fenomeno verificatosi in Indonesia. Con tale terminologia si descrive, per l’appunto, un terremoto lento, che, a differenza dei suoi parenti più rapidi, rilascia l’energia accumulatasi con lo spostamento delle placche tettoniche senza provocare esplosioni né scosse, poiché la tensione viene rilasciata gradualmente nel tempo.
Un terremoto “a rallentatore” non costituisce, quindi, un pericolo di per sé, ma può diventare pericoloso qualora i piccoli spostamenti sotterranei vadano ad incrementare le sollecitazioni su delle zone adiacenti, lungo una faglia, aumentando il rischio di una forte scossa nelle vicinanze[1].
Diversamente da quello indonesiano, però, gli “eventi di scivolamento lento” più recenti sono stati lunghi qualche ora, giorni o settimane, pochi qualche anno. Si sarebbe trattato, dunque, di un caso più unico che raro: un terremoto silente, lentissimo, il più lungo che sia mai stato registrato, culminato in un sisma di magnitudo 8.5, che, scatenando a sua volta uno tsunami, uccise migliaia di persone.
Facendo luce su come i suddetti movimenti sismici riescono a creare le condizioni per una scossa più potente, lo studio – pubblicato su Nature Geoscience il 3 maggio 2021 – potrebbe essere di concreto aiuto agli scienziati nel prevenire i cataclismi.
Come i coralli ci raccontano il terremoto
I primi “eventi di scivolamento lento” sono stati rilevati intorno agli anni ‘90, soprattutto per merito della tecnologia GPS, introdotta proprio in quel periodo. Tuttavia, esistono anche dei “segnalatori” naturali ed è così, infatti, che è stato possibile scoprire il record del terremoto indonesiano, decisamente precedente a qualsiasi tecnologia di monitoraggio sismico.
“Il nuovo studio si basa sulle testimonianze di un inatteso scriba degli spostamenti tettonici della Terra: il corallo”[2], che se esposto all’aria non cresce. I ricercatori, dunque, hanno analizzato gli scheletri dei coralli vicino l’isola di Simeulue – al largo della costa di Sumatra – per tracciare il cambiamento del livello del mare nel tempo, appurando l’ipotesi di “una battaglia sotterranea tra le placche tettoniche”[3].
Quanto rivelatoci dai coralli è stato che, prima del 1829, Simeulue era solita sprofondare di 1 o 2 mm l’anno. Poi, all’improvviso, è cominciato a succedere dalle 5 alle 7 volte più velocemente e, per alcuni anni, l’isola è arrivata a sprofondare quasi di 1 cm[4], continuando a “cadere” in questo modo fino al 1861, quando il terremoto è propriamente “esploso”.
Ma, allora, possiamo “disinnescare” un terremoto?
La storia del sisma e dello tsunami di Sumatra nel 1861 è analoga a quella del terremoto e del maremoto di Sumatra-Andaman nel 2004, quando a morire sono state ben oltre 200 mila persone. Se ne possono fare anche altri esempi, come quello del Giappone nel 2011 e quello del Cile nel 2014[5]. Prevedere simili cataclismi, però, è tuttora ancora molto difficile a farsi.
Innanzitutto, non è categorico che un terremoto lento inneschi un sisma di maggiore entità. Nel caso in cui, però, ciò accada, un’ulteriore complicazione è rappresentata dall’alto tasso di variabilità e, dunque, di imprevedibilità della durata di eventi del genere, soprattutto in considerazione della novità introdotta dai 32 anni di terremoto lento registrato a Sumatra, ad oggi un caso unico, che ha cambiato le carte in tavola.
Dopodiché, c’è anche un altro problema che si pone, ovvero quello della necessità di una più avanzata strumentazione per il monitoraggio sismico. La tecnologia GPS tradizionale, infatti, non è pensata per penetrare le profondità marine e permettere agli scienziati di studiarne i fondali, e i luoghi della Terra in cui è possibile avvantaggiarsi di “segnalatori” naturali, come nel caso dei coralli in Indonesia, purtroppo, sono troppo pochi[6].
Ma magari in un futuro più o meno prossimo riusciremo a farlo. “Chi vivrà vedrà”.
[1] Cfr. Maya Wei-Haas, “Il mistero del terremoto durato 32 anni secondo gli scienziati”, National Geographic, 15 giugno 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.nationalgeographic.it/scienza/2021/06/si-studia-il-terremoto-piu-lento-mai-registrato-durato-ben-32-anni.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Cfr. Stephanie Pappas, “The Longest Known Earthquake Lasted 32 Years”, Scientific American, 26 maggio 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.scientificamerican.com/article/the-longest-known-earthquake-lasted-32-years/.
[5] Cfr. Maya Wei-Haas, cit.
[6] Ibidem.
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Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.