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Emissioni astronomiche: la ricerca spaziale soffoca la Terra

Un team di ricerca ha cercato di stimare il totale di emissioni prodotte dalle attività astronomiche: i numeri sono alle stelle

emissioni spaziali

Quanto inquinano le attività di ricerca spaziali? Finora non si era mai tentato di fare una stima del quantitativo di emissioni ‘astronomiche’. Uno studio condotto dall’Istituto per la Ricerca di Astrofisica e Planetologia (IRAP) di Tolosa ha tentato di fornire una risposta, calcolando l’impronta di CO2 di tutti gli osservatori astronomici del mondo. Le cifre, sebbene con un margine di errore ampio (pari all’80%), sono molto alte. Si parla di 22 milioni di tonnellate di CO2 emesse nel corso del loro ciclo di vita[1]. Emissioni paragonabili a quelle emesse nell’arco di un anno da Paesi come Estonia o Bulgaria. Come sta reagendo il settore astronomico a questi dati?

Emissioni astronomiche: l’imperativo è ‘ridurre’

La Conferenza sul Clima di Parigi del 2015 ha fissato come obiettivo quello di mantenere l’aumento di temperatura a livello globale non oltre 1,5°C. Non solo. Tra i traguardi più ambiziosi c’è anche quello delle emissioni zero che, però, almeno per il momento sembra ben lontano dall’essere raggiunto. Alla luce degli impegni che pubblico e privato hanno stipulato per salvaguardare il benessere del nostro pianeta, anche il mondo dell’astronomia deve rispondere presente, prendendo impegni concreti per ridurre la propria impronta di carbonio.

Impegni che nel caso di alcune agenzie e centri di ricerca sono già stati messi in piedi da diverso tempo. È questo il caso, ad esempio, dello Square Kilometre Array Observatory (SKAO) e dell’European Southern Observatory (ESO) in Cile che hanno investito nella produzione di energia pulita e nella riduzione delle proprie emissioni. Ma i numeri restano comunque molto elevati se si considera che vanno incluse le emissioni dirette dei voli e le emissioni indirette dell’elettricità richiesta per alimentare i super computer, gli osservatori e altre strutture, oltre alle emissioni associate alla loro costruzione[2].

Emissioni astronomiche: metodologia utilizzata

Per i propri calcoli il team di ricerca è ricorso al metodo chiamato analisi economica input-output che include “lo studio e la misurazione empirica delle interdipendenze strutturali esistenti all’interno dei diversi settori produttivi di un sistema economico”[3]. La sola gestione delle strutture di ricerca astronomica emette a livello globale 1,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Emissioni 5 volte più alte di quelle legate al volo degli astronauti[4].

Il nuovo Telescopio James Webb e il già citato SKAO, generano 330.000 tonnellate di CO2 nel corso del loro ciclo di vita. Sono i telescopi più inquinanti esistenti al mondo. Ma non è solo una questione di natura energetica. I ritmi di costruzione delle nuove strutture, sempre più grandi e complesse, hanno un impatto non trascurabile. Problema, questo, facilmente risolvibile rallentando gli attuali ritmi di produzione e costruzione.

Il caso ESA

L’European Space Agency (ESA) già da anni ha sviluppato uno strumento di valutazione dell’impatto ambientale di un progetto in tutte le sue fasi. Si chiama valutazione del ciclo di vita (LCA) e lo ha utilizzato, ad esempio, per calcolare “l’impatto atmosferico dei lanciatori, l’uso di materiali e processi specifici e l’impatto dei propellenti spaziali sull’ambiente”[5]. Tra le variabili prese in considerazione, oltre le emissioni, ci sono anche il quantitativo di risorse e materie prime utilizzate e le conseguenze che il settore aerospaziale ha sulla salute umana e sull’ambiente.

Un problema che, oltrepassando i confini terrestri, arriva anche in orbita dove l’inquinamento dovuto agli oltre 60 anni di attività spaziale han lasciato sul campo migliaia di detriti (spazzatura) spaziali. L’Agenzia Spaziale Europea ha individuato circa 30.000 frammenti di rifiuti, monitorati costantemente dagli scienziati, che orbitano attorno alla Terra. E il numero è destinato ad aumentare, soprattutto per i materiali di scarto in giro nell’orbita più bassa, dove si trova la maggior parte di satelliti necessari a far funzionare i nostri sistemi di comunicazione.

Una criticità che andrà ad aumentare con l’aumentare dei lanci in orbita a opera anche dei privati. Se fino a questo momento, la gestione dei rifiuti spaziali è stato un tema marginale adesso non è più trascurabile. “A lungo termine, ciò potrebbe portare alla “sindrome di Kessler”, la situazione in cui la densità degli oggetti in orbita è sufficientemente alta che le collisioni tra oggetti e detriti creano un effetto a cascata, ogni incidente genera detriti che quindi aumenta la probabilità di ulteriori collisioni”[6].

Quindi che si fa?

Tornando con i piedi a Terra, secondo gli esperti c’è bisogno di tagliare le emissioni e per farlo bisogna mettere in campo una serie di soluzioni. In primis c’è bisogno di tagliare il numero di spostamenti da e per i centri di ricerca spaziali, preferendo incontri in teleconferenza e permettendo a ricercatori di tutto il mondo di poter accedere alle informazioni direttamente da casa. Molti pensano che i sistemi di compensazione possano aiutare le emissioni, ma, se lo fanno, è solo in ottica futura. Per agire nell’immediato bisognerebbe lavorare per produrre energia pulita che vada a sostenere la grande richiesta energetica dei super calcolatori.  Nessuno, ovviamente, ha la ricetta perfetta per azzerare l’impatto delle attività umane ma impegnarci per renderle meno mortali per il nostro pianeta sì, questo possiamo farlo davvero.


[1] Knödlseder, J., Brau-Nogué, S., Coriat, M. et al. Stima dell’impronta di carbonio delle infrastrutture di ricerca astronomica. Nat Astron 6, 503–513 (2022). https://doi.org/10.1038/s41550-022-01612-3.

[2] Stevens, ARH, Bellstedt, S., Elahi, PJ et al. L’imperativo di ridurre le emissioni di carbonio in astronomia. Nat Astron 4, 843–851 (2020). https://doi.org/10.1038/s41550-020-1169-1

[3] Edizione Simone, “Analisi input-output”. Consultabile al seguente indirizzo: https://dizionari.simone.it/6/analisi-input-output#:~:text=%C3%88%20lo%20studio%20e%20la,da%20Wassily%20Leontief%20(v.)

[4] Tereza Pultarova, “Carbon footprint of huge astronomy observatories raises climate change concerns”, Space.com, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.space.com/astronomy-observatories-carbon-footprint-climate-change

[5] ESA, “Life Cycle Assessment training at ESA”, 2015. COnsultabile al seguente indirizzo: https://www.esa.int/Space_Safety/Clean_Space/Life_Cycle_Assessment_training_at_ESA

[6] ESA, “Rapporto 2022 sull’ambiente spaziale dell’ESA”, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.esa.int/Space_Safety/Space_Debris/ESA_s_Space_Environment_Report_2022

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Autore articolo

Martina Shalipour Jafari

Martina Shalipour Jafari

Redattrice

Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
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