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L’esperienza della nostalgia

Riflessione in forma di piccola fiaba “sociale” e in prima persona plurale

nostalgia

Quanto è odioso l’imperfetto! Viviamo nell’epoca dell’imperfetto perché siamo stati costretti ad innescare l’esperienza della nostalgia.

Abbiamo iniziato a considerare l’arte come un’occasione per alimentare la nostra nostalgia.

Dicevano che il teatro e il cinema erano luoghi sicuri. Effettivamente, in quei luoghi ci sentivamo al sicuro: eravamo al riparo dalle intemperie del quotidiano, dalle afflizioni del presente, dalle angosce del futuro. A teatro e al cinema avevamo la possibilità di poter sognare senza il rischio di morire nel sonno, credevamo di poter essere qualsiasi cosa e, come per incanto o per magia, confidavamo nella promessa di un dono, in una narrazione che ci avrebbe salvato dalla morte. Sto usando verbi all’imperfetto.

L’imperfetto è il tempo della nostalgia. Quanto è odioso l’imperfetto e quanto dolore crea la nostalgia!

Oggi, l’arte, il cinema, il teatro, sono divenute testimonianze dolenti di una meschina e stanca nostalgia.

Abbiamo nostalgia dei sogni.

Abbiamo nostalgia di ciò che ci faceva sognare.

Abbiamo nostalgia di ciò che ci faceva sentire al sicuro.

Abbiamo nostalgia di ciò che ci è stato strappato via perché considerato non necessario, non essenziale, superfluo, evitabile.

Abbiamo scoperto di essere evitabili: per tutte quelle persone che scambiano gli appuntamenti artistici come occasioni di assembramento; per chi accetta la chiusura di teatri e cinema annuendo passivamente e con stanca rassegnazione; per chi vuole penalizzare, ancora una volta, uno dei settori più colpiti e massacrati durante il primo lockdown di primavera; per chi gode delle misure restrittive e non desidera altro; per il popolo degli spaventati da tastiera, perché è giusto che sia così, perché serve sempre aver paura (una volta scrissi nel testo di un mio vecchio spettacolo: “la paura è un investimento” e non mi sbagliavo); per chi alimenta la paura, ma solo sui social o attraverso titoli di giornali tutti uguali, al limite del parossismo, dello spavento, della disfatta totale; per chi aspetta la chiusura totale come un dono sceso dal cielo; per chi strilla (anzi, commenta): “chiudiamo tutto!” a prescindere, senza sapere cosa sta dicendo; per chi ha smesso di credere nella bellezza; per chi ha dimenticato o non ha mai saputo che i grandi attori del passato – penso ad Anna Magnani – recitavano anche sotto i bombardamenti; per chi scambia il cinema con l’esperienza domestica di Netflix, perché tanto il cinema si può vedere anche a casa; per chi ha dimenticato che la bellezza ha bisogno di essere raccontata e, per raccontarla, è necessario che sia viva.

Abbiamo nostalgia di una bellezza che non c’è più.

Anche la bellezza s’è ammalata e rischia di morire.

La bellezza è quella principessa abbandonata e segregata in una torre, in attesa che il principe vada a liberarla.

Che cosa accadrebbe se la principessa morisse, chiusa nella sua prigione?

Che cosa accadrebbe se il principe azzurro non arrivasse mai?

Che ne sarebbe di un mondo in cui i verbi vengono coniugati solamente all’imperfetto?

Che cosa accadrebbe se, al posto della bellezza, l’unica cosa a restare viva fosse proprio la nostalgia?

Quando la bellezza muore, non c’è più niente che merita di essere raccontato.         

Autore articolo

Ivano Capocciama - autore

Ivano Capocciama

Regista e insegnante

Insegnante di lettere, studioso di teatro, mi occupo di regia e drammaturgia. Il mio lavoro artistico passa attraverso la letteratura drammatica moderna e contemporanea, la storiografia teatrale europea, i Teatri Laboratorio, l’Antropologia Teatrale e, soprattutto, i rapporti tra drammaturgia e spettacolo. Dal 2004 collaboro con vari istituti scolastici e scuole di recitazione, in qualità di regista, insegnante di movimento scenico, training attoriale, pratiche di messa in scena e studi di arte scenica per cantanti lirici.

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