Nel 1879, il botanico statunitense William James Beal, diede il via ad un esperimento plurisecolare – tuttora in corso e pertanto uno dei più lunghi al mondo – presso la Michigan State University, seppellendo nel terreno 20 bottiglie, ciascuna delle quali era stata riempita con della sabbia e con 50 semi da 21 specie di piante.
In questo modo Beal sperava innanzitutto di scoprire per quanto tempo i semi fossero in grado di conservarsi dormienti nel sottosuolo, per poi essere riportati alla luce e germogliare, ma anche di poter essere d’aiuto a tutti gli agricoltori locali frustrati dalla mancanza di una soluzione per disfarsi delle erbacce nei loro campi.
Così come da lui ideato, il progetto prevedeva l’estrazione di una bottiglia dal sottosuolo ogni 5 anni e, in realtà, l’esperimento si sarebbe dovuto protrarre soltanto per un secolo. Poi, però, i successori di Beal hanno deciso di allungare i tempi tra uno scavo e l’altro (da 5 a 10, da 10 a 20 anni), trasformando l’esperimento in qualcosa di molto più grande e dando vita ad una vera e propria banca dei semi.
Una caccia al tesoro versione botanica
L’ultima bottiglia è stata estratta lo scorso aprile, con un anno di ritardo a causa delle chiusure imposte dalla pandemia da Coronavirus. Era già successo nel 1919 di rimandare lo scavo all’anno successivo, allora a causa della pandemia da influenza spagnola. La “caccia al tesoro versione botanica” è stata guidata dal Prof. Frank Telewski, l’attuale responsabile dell’esperimento.
Il “rituale” di estrazione si svolge solitamente sempre prima dell’alba, rigorosamente al buio, e con il solo ausilio di lampade notturne a luce verde per proteggere le bottiglie dal sole, onde evitare che i semi possano germogliare prima del previsto.
Il luogo di sepoltura delle bottiglie è indicato su una mappa tramandata di generazione in generazione. D’altronde, considerando la longevità dell’esperimento, che ne accresce l’importanza di anno in anno attraendo l’interesse di un numero sempre crescente di persone, un pizzico di segretezza non può che essere necessario ad una sua corretta esecuzione.
Disseppellire i semi, e poi?
Non è detto che appena piantati i semi germoglino subito. Spesso deve trascorrere una stagione o si deve aspettare qualche anno, se non di più, perché ciò accada.
Ai primi round dell’esperimento, i vari semi crescevano senza difficoltà, per cui prosperavano piante di specie diverse. Dopo qualche decennio, però, pian piano questa prosperità è venuta meno. Adesso c’è solo un germoglio che è reputato affidabile.
Si tratta della Verbascum blattaria, una specie-erbacea caratterizzata da steli verdi e fiori di colore giallo-rosa. Circa la metà dei semi di Verbascum contenuti nella bottiglia recuperata nel 2000, infatti, sono fioriti, nonostante siano rimasti sotto terra per oltre un secolo.
Evoluzione di un esperimento: dal 1879 ad oggi
Grazie alla vastità del sapere moderno e, soprattutto, alla continua innovazione tecnologica, oggi si può fare ben più del semplice contare i germogli ottenuti dalla bottiglia.
Analizzando i semi, è possibile ricercare una spiegazione alla loro longevità e magari capire come riportare in vita qualche specie botanica estinta, contribuendo al ripristino degli ecosistemi. O ancora, recuperando e portando avanti il progetto originario di Beal, si potrebbe anche realizzare una riserva a lungo termine di semi per la produzione alimentare.
Ecco, dunque, che quest’anno il contenuto della bottiglia portata alla luce dal Prof. Telewski e dal suo team di collaboratori non è stato immediatamente destinato alla semina. Quest’ultimo, invece, è stato preso in carico dalla ricercatrice Margaret Fleming, che ha rimosso dalla bottiglia i semi di Setaria glauca – una specie di miglio – che hanno smesso di germogliare a partire dal 1914. La Setaria verrà sottoposta ad analisi genetica.
Piantare un seme è come chiedere “sì o no?”. Il seme germoglia oppure non lo fa. Tuttavia, ciò che non cresce non è automaticamente già morto o morto del tutto. Per questo ci si interroga ulteriormente e si cerca di andare più a fondo esaminando il DNA e l’RNA del seme.
Il DNA? All’inizio dell’esperimento non si sapeva ancora cosa fosse!
Le terapie del freddo e del fumo
Il resto del contenuto della bottiglia è stato seminato ed annaffiato. Il team di ricerca ha deciso di simulare un “secondo inverno” per studiare la reazione dei semi ad una terapia del freddo. Questo trattamento era stato già sperimentato nel 2000, dando come risultato una singola piantina di Malva pusilla.
Si è deciso, inoltre, di sperimentare anche qualcosa di nuovo e cioè di provare ad esporre i semi al fumo, per stimolare la germinazione di alcune specie di piante già note per crescere a seguito di incendi.
Intanto, però, l’esperimento di Beal continua ad andare avanti…[1]
[1] Cfr. Cara Giaimo, “One of the World’s Oldest Science Experiments Comes Up From the Dirt”, New York Times, 21 aprile 2021. Disponibile al seguente indirizzo https://www.nytimes.com/2021/04/21/science/beal-seeds-experiment.html?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=bb0ab2520d-briefing-dy-20210423&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-bb0ab2520d-46136706
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Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.