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Bioetica: i casi più emblematici della storia della ricerca scientifica

Le sperimentazioni umane sull’epatite e sulla sifilide

bioetica

Cosa accadrebbe se esercitassimo la medicina e la ricerca scientifica senza il rispetto per i valori umani? Senza etica? La bioetica è quella disciplina che si occupa di analizzare i problemi morali che si celano dietro le scienze biomediche[1]. Una definizione sviluppata negli anni ’70 dall’oncologo americano Van Rensselaer Potter di fronte al rapido progredire del sapere biomedico, biotecnologico e dell’ingegneria genetica. Insomma, si tratta di un settore ampio, che abbraccia varie branche della medicina ma che funge da ponte anche tra il sapere scientifico e quello umanistico.

Ma non è stato solo il pericolo di nuove e future scoperte ad “obbligare” i medici a trovare un quadro di riferimento per regolare la propria attività. Nonostante il giuramento di Ippocrate, che sancisce l’imperativo morale di tutelare la salute fisica e psichica dell’uomo, ci sono casi, nella storia recente, di comportamenti che oggi definiremo inumani, ai danni di pazienti. È accaduto con l’epatite così come con la sifilide. Qui vi raccontiamo qualche particolare di queste agghiaccianti storie del passato.

Bioetica: l’esperimento umano con l’epatite

Con l’entrata in guerra degli USA nella Seconda Guerra Mondiale nel 1942 i vertici dell’esercito temevano fosse esplosa un’epidemia di epatite tra le reclute[2]. Non avendo la possibilità di studiare la malattia in laboratorio si decise di testarla su cavie umane allo scopo di conoscere e scovare la fonte dell’epidemia.

La sperimentazione è durata 30 anni, sino al 1972, ed ha coinvolto 1.000 persone inclusi:

  • Obiettori di coscienza, ossia coloro che rifiutavano di partire perché contrari alla guerra. Furono costretti a partecipare seguendo la retorica del sacrificio in patria per le truppe in prima linea;
  • Carcerati, in questo caso furono convinti seguendo la logica della riabilitazione offrendo un servizio alla società civile;
  • Malati mentali, infettati volontariamente perché si pensava che l’alta temperatura della febbre causata dalle malattie virali potesse migliorare le patologie psichiche;
  • Bambini disabili, con la giustificazione di generare immunità contro le tante malattie diffuse all’interno degli istituti a causa della scarsa igiene.

Categorie preferite anche qualche anno più tardi per sperimentare la penicillina, tra il 1946 ed il 1948.

Un esperimento dai risultati incerti

I medici avevano individuato, fino a quel momento, due tipologie di epatiti: la A, causata da alimenti contaminati, e la B, diffusa a causa di emoderivati contaminati. Per questo esperimento decisero di contagiare i pazienti tramite iniezioni o con l’ingestione di frappè contenenti campioni di feci infetti. Quello che si sa con certezza è che 4 dei partecipanti sono morti nel corso dell’esperimento. Quanto agli altri sappiamo ben poco: all’infezione non è seguito un periodo di follow-up per monitorare l’avanzata della malattia per sapere in quali e quanti casi risultasse mortale o causasse disabilità.

Si sa che nei bambini l’epatite non causa conseguenze nel breve periodo ma crescendo possono diventare portatori sani della malattia oltre che avere conseguenze fisiche. Ma negli adulti l’epatite B può provocare cirrosi e tumore al fegato. La cosa più preoccupante è che tutti erano consapevoli di ciò che stavano facendo.

Alla fine la causa dello scoppio dell’epidemia tra le fila dell’esercito USA è stata scoperta: un lotto contaminato del vaccino contro la febbre gialla.

Bioetica: quando il razzismo riscrive gli standard etici

Altro esperimento scioccante è quello che ha coinvolto, negli USA, oltre 600 persone, tutti afroamericani di Tuskegee, in Alabama. Lo studio è iniziato nel 1932 ed è andato avanti per oltre 40 anni, con l’avallo della comunità scientifica del tempo[3]. Al centro, questa volta, c’era lo studio della sifilide, una malattia sessualmente trasmissibile che destava grande preoccupazione, per la quale ancora non esisteva una cura efficace e quelle utilizzate allora avevano effetti collaterali pesanti.

Nel ’32 l’US Public Health Service (Pns) lanciò uno studio per capire l’evoluzione della malattia nella popolazione maschile senza aver ricevuto trattamenti. Negli Stati del sud, analfabetismo, mancata assistenza sanitaria e la povertà facevano sì che la sifilide dilagasse, con tassi altissimi. Per questa ricerca furono reclutati, con la compiacenza di un’infermiera, 399 uomini malati e 201 sani, come gruppo di controllo.

Nessun tipo di informazione fu data loro circa lo scopo dell’indagine, su cosa fosse la sifilide ed in che modo sarebbe stata trattata. In cambio, però, fu promessa l’assistenza sanitaria gratuita, un pasto caldo ed un’assicurazione per il funerale, previa autopsia.

Che prezzo ha la vita umana?

I medici decisero di somministrare ad un gruppo ristretto di partecipanti i farmaci usati allora per la cura della sifilide ma solo per un breve periodo di tempo. A questa prima fase è seguito il follow-up fino alla morte: agli appuntamenti periodici, in cambio della puntualità, veniva somministrato loro del placebo.

I primi risultati furono pubblicati già nel ’34 e nel ’36 ma con lo scoppio della guerra si presentò un ostacolo imprevisto. Molti dei partecipanti allo studio erano stati arruolati nell’esercito e rischiavano di ricevere trattamenti medici, tra cui anche quello anti-sifilide. Per non far saltare la copertura i ricercatori chiesero all’esercito di escludere dai trattamenti 256 persone. L’esercito disse di sì.

Solo molti anni più tardi, leggendo i dati dello studio pubblicati, alcuni medici denunciarono, inorriditi da queste pratiche. Il primo fu Irwin Schatz, nel 1965 che scrisse una lettera indirizzata ai responsabili della ricerca, senza sortire effetti. Nel ’72 fu la volta del collega Peter Buxtun che, dopo anni di battaglie, decise di rivelare tutto alla stampa. Fu uno scandalo di livello nazionale.

Il bilancio fu pesante: 28 morti di sifilide, 100 per complicazioni della malattia, 40 donne infettate e 19 bambini nati malati. Non solo. A livello scientifico l’esperimento non ha condotto a nulla perché tanti, nel frattempo, avevano ricevuto dosi di penicillina e antibiotici per combattere altre malattie, vanificando le intenzioni dei promotori.

Bioetica: è anche una questione morale

L’uomo e le conoscenze scientifiche cambiano continuamente e la bioetica con loro. Oggi le nuove questioni etiche riguardano più l’eutanasia e la manipolazione genetica, soprattutto in ambito della procreazione. Se è vero che su tematiche così sensibili l’errore è dietro l’angolo, l’intenzione o meno di nuocere all’altro fa una grande differenza. Dovremmo ricordarcelo.


[1] Treccani, “Bioetica”. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.treccani.it/enciclopedia/bioetica/

[2] Heidi Ledford, “When scientists gave 1,000 vulnerable people hepatitis over 30 years”, Nature, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-021-03571-7?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=98784a2e58-briefing-dy-20211203&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-98784a2e58-46136706

[3] Stefano dalla casa, “Quando si usavano i neri come cavie: l’infame esperimento di Tuskegee”, Wired, 2016. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.wired.it/scienza/medicina/2016/07/08/tuskegee-sifilide/

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Autore articolo

Martina Shalipour Jafari

Martina Shalipour Jafari

Redattrice

Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
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