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Pangenoma: la missione impossibile di catturare la complessità umana

A oltre 20 anni dal primo tentativo di mappare l’intero genoma umano, adesso si tenta una nuova strada, tenendo conto anche delle minoranze etniche

pangenoma

Rendere equa la medicina genomica, si può? Sono trascorsi oltre 20 anni dal lancio del primo pionieristico tentativo della scienza di sequenziate l’intero genoma umano, ma cosa ci è rimasto di quell’esperienza? Da quel primo esperimento abbiamo tratto grande insegnamento ma oggi sappiamo anche che ne è stata tratta solo una conoscenza molto limitata. È per questo motivo che nel 2019 è stato lanciato lo Human Pangenome Project per un valore di 30 milioni di dollari, finanziato dal National Human Genome Research Institute (NHGRI) degli Stati Uniti. In cosa il pangenoma si differenzia da quanto fatto finora? Vediamolo insieme facendo un po’ di ordine.

Pangenoma: facciamo un passo indietro

Fare stime è davvero complicato, soprattutto se parliamo di un argomento così complesso, ma il corredo genetico umano dovrebbe comporsi di circa 3,2 miliardi di paia di basi azotate (in tutto quattro: Adenina, Citosina, Guanina, Timina) per un totale di circa 20.000 geni codificanti per le proteine. Un quantitativo di informazione enorme per un singolo individuo. Il solo cromosoma 1, ad esempio, il più grande dei 24 diversi cromosomi umani, si estende su circa 250 milioni di paia di basi.

Differenza tra DNA e RNA e relative basi azotate.
Fonte immagine: Wikipedia.it

Agli inizi del 2000 con lo Human Genome Project si è tentato di sequenziare questo enorme quantitativo di informazioni genetiche con l’intenzione di mapparlo completamente[1]. Ci siamo riusciti? Ovviamente no. Al completamento dell’analisi mancava circa il 15% del DNA, una bella quantità. Questo perché i ricercatori non erano in grado di capire come determinati tratti di DNA si adattassero insieme, specialmente quelli in cui c’erano molte lettere ripetute (o coppie di basi).

“Fino all’ultimo decennio, la principale opzione degli scienziati per il sequenziamento del DNA prevedeva di romperlo in frammenti e leggerlo in piccoli pezzi. Ciò consente loro di rilevare i cambiamenti di una singola lettera nel DNA in modo relativamente semplice. Ma le letture brevi rendono difficile riconoscere quando un lungo tratto di DNA contiene più di una copia di un gene”[2].

Con ulteriori studi, l’avanzamento delle tecnologie a disposizione e una maggiore comprensione della struttura del DNA, nel 2013 si è riusciti a ridurre questa soglia di incomprensione all’8% ma non è ancora abbastanza.

Pangenoma: quel posizionamento non è casuale

Buona parte di noi sa che il DNA, pur essendo così esteso e complesso, è racchiuso all’interno del nucleo delle nostre cellule, occupando uno spazio infinitesimale se paragonato alla sua importanza. E questo per ogni cellula del nostro corpo. Ma il raggruppamento del genoma è casuale o il suo posizionamento ha un senso che per noi è ancora sconosciuto? Secondo i ricercatori tutto ha un senso ed i cromosomi sono organizzati con precisione e con criterio e questa organizzazione sembra essere cruciale affinché l’espressione genica funzioni come dovrebbe.

I ricercatori si sono sempre soffermati a studiare il DNA come lunghe sequenze di A, C, G, T (le famose basi azotate) ma si è visto che il nostro organismo non lavora in maniera lineare. Secondo gli scienziati che si occupano del posizionamento spaziale 3D e della dinamica dei componenti molecolari che compongono il nucleosoma – unità fondamentale della cromatina – “ogni cromosoma ha il suo ‘territorio’, dove viene ulteriormente suddiviso in sezioni aperte alla trascrizione o chiuse. Questi vengono quindi divisi in domini più piccoli, che uniscono sequenze che tendono ad interagire tra loro. In questo modo, i geni e le proteine ​​possono trovare i loro partner in modo efficiente”[3].

Ma soprattutto si è visto che solo una percentuale compresa tra l’1-2% del genoma umano codifica direttamente per le proteine mentre il resto svolge ruoli regolatori. Insomma, in soldoni cosa comportano per la nostra conoscenza dell’intero corredo genetico umano? Tutta questa complessità significa difficoltà nel collegare queste sequenze regolatorie ai geni che controllano.

Pangenoma: arriviamo al punto

Diversi anni fa, Evan Eichler, genetista dell’Università di Washington a Seattle e responsabile dello Human Pangenome Project, si è imbattuto in un lungo tratto di DNA, circa 400mila basi azotate, con copie extra di geni probabilmente trasmessi dall’antico gruppo ominide di Denisova[4]. L’originalità della scoperta sta nel fatto che circa l’80% degli individui residenti in Papua Nuova Guinea è in possesso di questo segmento extra di DNA che non è comune a nessun’altro gruppo umano sul pianeta.

Da qui la messa in discussione del lavoro fatto fino a quel momento sul sequenziamento del genoma: nel tentativo effettuato 20 anni fa il DNA proveniva solo da 11 individui reclutati negli Stati Uniti e più del 70% da un solo uomo. La lettura del genoma umano come un sequenza lineare univoca di basi azotate non è sufficientemente chiarificatrice della complessità della nostra natura. Per questo motivo si sta pensando di immaginare e rappresentare il genoma come una serie di percorsi che si diramano da un percorso di partenza comune e che si allarga nei punti in cui si differenzia.

“L’obiettivo iniziale è eseguire un sequenziamento del genoma dettagliato e di qualità di riferimento di circa 350 persone di background diversi e condividere tali dati il ​​più liberamente possibile”[5].

Missione impossibile?

Per adempiere a questo lavoro Eichler ha reclutato tra i migliori genetisti al mondo con la speranza di riuscire in un lavoro titanico come quello di catturare tutta la complessità del genere umano. Ma, al di là degli affascinanti tecnicismi che ruotano attorno a questa ‘missione impossibile’, attorno a questo progetto orbitano necessariamente dei risvolti etici.

Condividere informazioni genetiche non è cosa che va fatta a cuor leggero, sebbene sia un lavoro svolto per migliorare – si presume – la conoscenza che abbiamo di noi stessi. In più, va presa in considerazione la presenza delle minoranze in questo progetto: 350 individui sono sufficienti per assicurare una adeguata rappresentazione della popolazione umana? I responsabili dello Human Pangenome Project sembrano aver preso sul serio la questione etica ma passerà del tempo prima di riuscire ad avere dei risultati. Risultati che attendiamo con trepidazione e fervente curiosità.


[1] Sara Reardon, “A complete human genome sequence is close: how scientists filled in the gaps”, Nature, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-021-01506-w?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=a4b479adc5-briefing-dy-20210604&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-a4b479adc5-46136706

[2] Roxanne Khamsi, “A more-inclusive genome project aims to capture all of human diversity”, Nature, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-022-00726-y?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=c9abc9092e-briefing-dy-20220316&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-c9abc9092e-46136706

[3] Amber Dance, “Revealing chromosome contours, one dot at a time”, Nature, 2022. COnsultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-022-00496-7?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=1211c34fa6-briefing-dy-20220222&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-1211c34fa6-46136706

[4] Khamsi, op. cit.

[5] Khamsi, op. cit.

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Autore articolo

Martina Shalipour Jafari

Martina Shalipour Jafari

Redattrice

Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
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