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Numeri: e se i Neanderthal li conoscessero già? L’ipotesi sulla loro origine

Lo European Research Council sta finanziando un progetto di ricerca multidisciplinare per scoprire quando, perché e come i numeri siano comparsi e si siano diffusi nel mondo

Numeri

Che i Neanderthal conoscessero già i numeri? Questa l’ipotesi proposta in un recente articolo della rivista Nature[1], sulle orme delle indagini scientifiche dell’archeologo-ricercatore dell’Università di Bordeaux, Francesco D’Errico. Era stato quest’ultimo, infatti, tempo addietro, ad avanzare per primo un tale suggerimento. Ma perché (ri)parlarne proprio ora?

Rispondere alla seconda domanda è decisamente più semplice che alla prima: D’Errico – insieme ad altri – sarà a capo dell’Evolution of Cognitive Tools for Quantification, un progetto di ricerca che si è “appena” guadagnato il sostegno economico dello European Research Council. 10 i milioni di euro stanziati per indagare il quando, il perché e il come della comparsa e della diffusione dei sistemi di numerazione nel mondo. Un evento a cui dedicare un giusto spazio (un articolo su Nature, ad esempio), data la marginalità di cui questo tipo di ricerca aveva “goduto” finora.

Cerchiamo, allora, di capire meglio l’intuizione di D’Errico.

Su cosa si basa l’ipotesi dell’origine neanderthaliana dei numeri?

Sul ritrovamento – avvenuto negli anni ‘70 a Les Pradelles, in Francia – di un pezzo di femore di iena, inciso con un qualche strumento di pietra: 9 le tacche sull’osso, tutte molto simili tra loro e quasi parallele. Una scoperta che è stata datata risalente a circa 60mila anni fa.

femore di iena

Inusuali, queste sue caratteristiche, per trattarsi di un semplice oggetto decorativo. Meno artistico e più funzionale: questa la dichiarazione del ricercatore di Bordeaux, che si è chiesto, dunque, se quelle tacche non andassero interpretate numericamente. In tal caso, ecco che i Neanderthal avrebbero anticipato l’uomo moderno nel concepire e sviluppare (anche se sarebbe meglio dire abbozzare) un sistema di annotazione numerica.

Numeri, animali e uomini

Mentre prima si credeva che il senso della quantità fosse una prerogativa della specie umana, questa pretesa è stata poi smentita da diversi studi (i primi a metà del XX secolo). Pertanto, noi esseri umani condividiamo questa capacità, quella del quantificare, che è anche un istinto, con molti animali.

Un esempio? Pesci, api e pulcini sanno subito contare fino a 4. Si tratta del cosiddetto subitizing, un meccanismo automatico di conta (per piccole quantità), una capacità innata, che si manifesta immediatamente, negli animali come negli uomini. Ne scrisse, nel 1888, John Lubbock in On the senses, instincts, and intelligence of animals, with special reference to insects: “le cornacchie sanno contare fino a 4, […] le galline sanno identificare raccolte più o meno numerose e […] i delfini sanno perfino distinguere tra numeri ordinali e cardinali”[2].

Contare fino a 4, ma non solo, dunque. Alcuni animali sono capaci di distinguere anche grosse quantità: 10 oggetti da 20, ad esempio (ma non 20 da 21!).

Secondo alcuni studiosi, pertanto, a diversificare gli animali dagli uomini è stata nientemeno che la selezione naturale, mentre altri controbattono appellandosi al fatto che la percezione dei numeri propria della specie umana sia troppo sofisticata per essere così “semplicisticamente” ricondotta alla selezione naturale. Bisognerebbe ben distinguere tra un’innata cognizione quantica animale e un’appresa cognizione numerica umana. Il dibattito continua ad essere animato.

imparare i numeri

Numeri: ritorno all’ipotesi sulla loro origine neanderthaliana

Analizzando al microscopio le nove tacche sul femore di iena, Francesco D’Errico ha osservato e concluso che: per forma, profondità e altri dettagli, tutte sembrano esser state fatte con lo stesso strumento in pietra, tenuto e maneggiato alla stessa maniera. L’incisore? Un solo individuo, così come una sola sarebbe stata anche la sessione di lavorazione, durata pochi minuti o qualche ora.

Quello del femore di iena, però, non è un esempio unico nel suo genere (sebbene sia il più antico che ci sia giunto finora) e, infatti, lo si è potuto comparare con un perone di babbuino, ritrovato in Sudafrica nei pressi della Border Cave. Datato 42mila anni fa, su quest’osso sono state incise ben 29 tacche, con 4 strumenti diversi e in 4 sessioni differenti, per un totale di…4 conte.

D’Errico ipotizza che tutto sia iniziato un po’ per caso, che degli ominidi abbiano lasciato segni su ossa di animali vari, macellandone le carcasse. Dopodiché, però, quest’ultimi avrebbero avuto un primo “lampo di genio”, realizzando di poterle incidere deliberatamente, e, così, ne avrebbero avuto anche un secondo, iniziando a dare a dei segni astratti un qualche significato, persino un qualche valore numerico. Procedendo per gradi, ovviamente, si sarebbe arrivati, già nella preistoria, all’invenzione dei primi numeri: 1, 2 e 3.

Un’ipotesi ancora troppo imperfetta, la sua, come egli stesso ammette, d’altronde. Ma è proprio per questo che l’archeologo collaborerà insieme ad altri ricercatori, da diversi ambiti, per approfondire scientificamente la questione.


[1] Colin Barras, “How did Neanderthals and other ancient humans learn to count?”, Nature, 2 giugno 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.nature.com/articles/d41586-021-01429-6?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=f6bf0abbed-briefing-dy-20210602&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-f6bf0abbed-46136706.

[2] Claudia Brundu, “Nati per contare- Il subitizing”, IELED, 27 maggio 2018. Consultabile al seguente indirizzo https://www.ieled.it/nati-per-contare-il-subitizing/.

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Autore articolo

Federica Fiorletta - autore

Federica Fiorletta

Redattrice

Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.

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