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La questione femminile e i suoi limiti: una provocazione

Penelope grida dall’oltretomba: ‘Non siate come me’

Questione femminile - Penelope

L’11 febbraio è stato identificato come la Giornata internazionale delle donne in scienza, istituita nel 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Onu). Lo scopo è quello di sensibilizzare e invitare gli Stati membri, le università, le istituzioni, la società in generale a sostenere le ragazze nell’intraprendere studi che riguardano le discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e rafforzare la presenza femminile nel mondo scientifico.

Parlare di “questione femminile” su un magazine di comunicazione scientifica potrebbe sembrare fuori luogo o comunque poco attinente.

In vista dell’8 marzo, ci siamo chiesti se davvero valesse la pena farlo, e siamo pervenuti alla conclusione che, in realtà, vale sempre la pena farlo e ciò non tanto per sottolineare o dare alla questione femminile un recinto proprio.

In realtà l’intento è proprio il contrario: la questione femminile non dovrebbe più essere una “riserva indiana”, una lettera scarlatta, un argomento di discussione solo ed esclusivamente femminile e per ambienti femministi.

La questione femminile non può ridursi, in altri termini, alle “quote rosa”.

Eppure istituire giornate dedicate alle donne, garantire le quote rosa nelle liste di rappresentanza elettorale, rimane ancora uno strumento necessario per garantire una presenza “rosa” che altrimenti verrebbe ancora negata, e questo anche in paesi sviluppati come il nostro.

In realtà lo strumento, ad esempio, delle quote rosa è valido se in effetti è solo uno strumento: altra cosa è la coscienza, l’autocoscienza soprattutto, che le donne devono acquisire rispetto al loro valore in una società complessa come quella contemporanea.

Sostenere le ragazze, le giovani donne nell’intraprendere studi scientifici, suona davvero come una grande provocazione in verità: una giovane vita va sostenuta a prescindere dal suo sesso, nello scegliere questo e quel percorso di studi. L’inclinazione agli studi scientifici è una inclinazione personale, e l’essere donna o uomo non dovrebbe rappresentare il quid che definisce tale scelta.

Dunque, gli strumenti del sostegno e dell’incentivazione sono sì strumenti fondamentali, che le istituzioni hanno a disposizione per aumentare la presenza femminile tra le schiere degli scienziati, certo; altra cosa però è determinare l’autocoscienza delle giovani donne a percepirsi come valoriali all’interno della società in cui vivono.

Insomma la questione femminile è ancora oggi e più che mai una questione culturale.

In realtà la presenza delle donne – almeno se ci riferiamo al nostro Stato – all’interno delle strutture scientifiche anche di alto profilo, è più che mai presente.

Le giovani donne, medico, biologhe, chimiche, ingegneri sono in gran numero, e sicuramente se lo sono non sarà stato perché le istituzioni hanno avvalorato in qualche modo il loro accesso all’interno delle strutture scientifiche in cui hanno studiato e lavorato. O almeno non del tutto e non sempre.

Ciò che invece ne ha decretato il successo è sicuramente l’educazione che hanno ricevuto, innanzitutto all’interno del loro nucleo familiare, ad autodeterminarsi in base alle proprie inclinazioni di studio.

Educare le giovani donne e i giovani uomini a riconoscersi ed autodeterminarsi nel loro futuro, soprattutto professionale, in base alle loro inclinazioni ed aspirazioni, è davvero l’obiettivo che dobbiamo porci. Solo in tal modo la “questione femminile” potrebbe non essere più una “questione” appunto.

L’educazione è sì un fatto familiare e privato all’inizio, ma le agenzie educative esercitano un ruolo sempre più importante e complesso nel percorso formativo di ciascun individuo.

È nel giardino dell’educazione e della formazione che deve nascere e fortificarsi l’autocoscienza di non considerarsi una “specie da tutelare”. In questo i modelli di riferimento giocano sicuramente un ruolo fondamentale, e spesso l’esempio è più forte di qualsiasi nozione presente in un libro.

Gli esempi di donne o uomini a cui ispirarsi per divenire individui appagati e di successo sono innumerevoli; tuttavia, mi è capitato spesso nel mio percorso formativo e professionale di vedere donne al vertice comportarsi come gli uomini. Le ho viste battersi per quel ruolo, che di solito veniva dato ai maschi perché maschi, e poi una volta arrivate alla meta comportarsi esattamente come loro, se non peggio.

Questo accade, e accade proprio perché la maggior parte dei modelli di riferimento che ci vengono proposti sono maschili, intrisi di autorità e machismo, non possiamo negarlo.

La società italiana, purtroppo, un po’ per la sua storia che affonda le radici nella notte dei tempi del pater familias di romana memoria, un po’ per i tempi di contemporanea crisi, continua a propinare, e a più livelli, modelli di femmina e maschio estremamente tradizionali.

Proprio in questi giorni, mi è capitato di vedere la pubblicità per il sociale della Rai, dedicata a questa giornata dell’8 marzo: l’immagine della donna viene affiancata a parole come “resilienza” (parola a mio avviso estremamente abusata ultimamente) che, se guardate lo spot, equivale a “sopportazione”: alla sopportazione di Penelope per intenderci, che attende un marito, Ulisse, che non solo l’ha lasciata da sola con un figlio in fasce per inseguire i suoi sogni di gloria, ma in ciò l’ha tradita ripetutamente. Ma lei no, non lo tradisce, né come uomo né come re. Aspetta, con resilienza.

Ecco, un termine come resilienza non sarebbe un problema se lo affiancassimo tanto a un uomo quanto a una donna: la questione è che a noi piace puntualizzare rispetto a questi due mondi, esattamente come sto facendo io stessa su questo articolo.

Solo nel momento in cui non puntualizzeremo più, ma agiremo con esempio, allora forse non sarà più necessario parlare di questione femminile.

Tornando a parlare di scienza, sono innumerevoli gli esempi di donne scienziate, magari mogli di emeriti e famosi scienziati, passate nell’ombra ingombrante dei loro mariti. Anche in questo caso, strapparsi le vesti rimarcando il fatto che, ad esempio, la prima moglie di Einstein fosse, a differenza del marito, un’eccellente matematica e che i calcoli da cui poi è venuta fuori la teoria sulle onde gravitazionali fossero opera sua, lo trovo un gioco al massacro inutile e dannoso proprio in virtù del rispetto che dobbiamo a questa donna.

In casi come questo, ma ne potremmo citare innumerevoli, si perde di vista sempre il contesto: pretendiamo di leggere fatti del passato, con la lente deformata del presente.

Mettere a conoscenza i più della vita passata dell’universo femminile, una vita davvero difficile, è opportuno e necessario. Lo è categoricamente. Ma voler insinuare il nostro punto di vista in fatti oggettivi e contestualizzati in un dato momento storico, è inopportuno, poco professionale dal punto di vista storico e dannoso per la stessa storia delle donne.

Il percorso per l’emancipazione delle donne è tuttora in corso: esistono una coscienza ed una autocoscienza che devono agire a livello personale quanto collettivo in questo lungo percorso.

Tuttavia è nostro compito utilizzare qualsiasi strumento, anche e soprattutto giornate come quella odierna, o come quella delle “Donne nella scienza”, per accompagnare un processo di emancipazione che altrimenti non verrebbe. E questo per garantire e rafforzare che tale percorso avvenga al livello planetario.

Quello su cui dobbiamo agire è però l’esempio: dobbiamo dimenticarci di essere Penelope.

Il monologo di Monica Guerritore, durante l’esibizione canora di Achille Lauro al recente Festival di Sanremo, è illuminante in tal senso. L’ho trovato una pietra miliare, in mezzo a tanta retorica posticcia sull’universo femminile, propinata su quel palco, e a cospetto del servizio pubblico – cosa forse ancora più preoccupante – da donne di successo, dalle donne “che ce l’hanno fatta”.

Per questo mi piace riportare qualche passaggio di quel monologo:

[…] Ulisse mi ha raggirata, sostiene qualcuno. Si sapeva che era scaltro e bugiardo, ma non avrei mai pensato che avrebbe usato la sua astuzia anche con me. Non gli ero stata fedele? Non avevo aspettato, vincendo la tentazione, quasi un impulso naturale a comportarmi in un altro modo? Cosa ho raccolto? Sono diventata una leggenda, un bastone con cui colpire altre donne, che non avrebbero saputo essere oneste, pazienti come me. Ma io avrei solo dovuto gridare: ‘Non seguite il mio esempio’. Ma io non sono più […].

L’esempio agisce, modifica, si insinua nel nostro modo di pensare, di essere uomini e donne a questo mondo. Noi possiamo scegliere: essere Penelope o scegliere di non esserlo. Da sfondo e da cartina di tornasole sta la storia delle donne.

Impariamo a scegliere di non seguire l’esempio, fungendo da esempio.

Autore articolo

Serena Catallo - autore

Serena Catallo

Docente

Direttore di Future Brain, Presidente di Fondazione Heal, 
Dottore di ricerca in Studio dei testi filosofici, scientifici e letterari
dall’età moderna all’età contemporanea,
Docente di Filosofia e Storia. 
“Ogni ricerca, ogni idea, ogni visione è una
freccia a disposizione nella faretra del sapere”.

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